Messina venne fondata dai Greci nel 756 a.C., con il nome di Zancle. I Romani la conquistarono nel 264 a.C. e, dopo la caduta dell'impero romano, fu prima in possesso dei Bizantini e quindi degli Arabi.
Nel 1060 venne conquistata dai Normanni. Sotto i domini svevo angioino aragonese, raggiunse grande prosperità divenendo capitale del Regno di Sicilia assieme a Palermo (il Regno di Sicilia comprese per lunghi periodi anche tutta l'Italia meridionale) e, grazie al suo porto, uno tra i primissimi centri commerciali e tra le più grandi, fiorenti ed importanti città del mar Mediterraneo.
Fu per lunghi secoli la città siciliana più ricca, seconda nel Mezzogiorno d'Italia solo a Napoli. Nel 1674 si ribellò alla Spagna e ne subì successivamente la repressione. Fu toccata da un grave terremoto nel 1783. Entrò a far parte del Regno d'Italia dopo la spedizione dei Millegaribaldina del 1860.
Nel 1908 subì le distruzioni di un altro terribile terremoto e ancora dei bombardamenti della seconda guerra mondialeL'omonimo stretto compare già nell'Odissea di Omero come luogo di dimora dei mostri marini Scilla e Cariddi.
I ritrovamenti archeologici attestano la presenza di un villaggio dell'età del bronzo. Sullo stesso sito venne fondata intorno al 730 a.C. una tra le primecolonie greche della Sicilia. Alla colonia venne dato un nome di origine sicula, Zancle (con il significato di "falce", in riferimento alla forma del braccio sabbioso di San Raineri, che chiude il grande porto naturale), che conferma la presenza delle popolazioni indigene.
Secondo lo storico greco Tucidide i coloni provenivano dalla colonia calcidese di Cuma in Magna Grecia (guidati da Periere) e dalla stessa madrepatria di Calcide nell'isola greca d'Eubea (condotti da Cratemene), madrepatri anche della stessa Cuma. Secondo il geografo latino Strabone i coloni erano originari da Naxos, la prima colonia calcidese nell'isola. La città sorse vicino al lembo nordorientale dell'isola, in posizione strategica di primissima importanza. Poco dopo, i calcidesi fondarono un'altra colonia sulla sponda opposta dello stretto, Reghion, oggi Reggio Calabria, ottenendo così il controllo dell'importantissimo braccio di mare.
Dopo la conquista persiana della Ionia si aggiunsero altri coloni, provenienti dall'isola di Samo e da altre località della regione. Agli inizi del V secolo a.C. i Samii furono scacciati da Anassila, tiranno di Reggio, che tenne il dominio su entrambe le sponde dello stretto e diede alla città il nome diMessanion, dalla patria originaria dei suoi avi, la Messenia, in Grecia. Dopo la morte del tiranno, nel 461 a.C., entrambe le città ne cacciarono i figli.
Nel 396 a.C. venne distrutta dai cartaginesi, guidati da Imilcone, ma il tiranno di Siracusa Dionisio la ricostruì e la ripopolò con nuovi coloni. Fu liberata dal dominio siracusano da Timoleonte e successivamente riconquistata da Agatocle. Nel 288 a.C. vi si insediarono i mercenari Mamertini, di stirpesabellica.
I Mamertini, in lotta con Ierone II di Siracusa, chiamarono in aiuto i Romani e provocarono lo scoppio della prima guerra punica tra Roma e Cartagine.Gaio Eio (questo me lo concederamno senza discutere tutti coloro che si sono recati a Messina) è il mamertino più ragguardevole in quella città sotto tutti i punti di vista. La sua casa è senza paragone la più nobile di Messina, e senza dubbio la più conosciuta, la più disponibile per i nostri concittadini, un modello di ospitalità. Prima dell’arrivo di Verre questa casa era così adorna da rappresentare un ornamento anche per la città. Infatti proprio Messina, che deve le sue bellezze alla posizione naturale, alle mura e al porto, è addirittura sprovvista e priva di quegli oggetti di cui costui si diletta. 4. Ora, in casa di Eio c’era una cappella privata molto antica, oggetto di grande venera zione, lasciataglia dai suoi antenati: in essa spiccavano quattro bellissime statue di squisita fattura, universalmente note, che potevano deliziare non solo codesto fine intenditore, ma anche ciascuno di noi, che costui chiama profani: la prima era Cupido di marmo, opera di Prassitele [...] Ma, per tornare alla cappella privata di Eio, c’era da una parte questa statua marmorea di Cupido, di cui sto parlando, dall’altra un Ercole di bronzo di fattura egregia, attribuito se non erro a Mirone (e l’attribuzione è sicura). Parimenti, di fronte a queste divinità, stavano due piccoli altari che potevano far comprendere a chiunque il carattere sacro della cappella: si trovavano inoltre due statue in bronzo di mo deste proporzioni, ma di straordinaria eleganza, che rappresentavano nel portamento e nel modo di vestire quelle fanciulle che, con le braccia sollevate, sostengono sul capo un canestro con certi arredi sacri secondo il costume delle ragazze ateniesi: si chiamano appunto Canefore. [...]"
Cicerone, Actio secunda in Verrem, «Quattro statue in una cappella privata a Messina» (3-5).
Consegnata dai Mamertini ai Romani nel 264 a.C., ottenne dopo la fine della guerra lo status di civitas libera et foederata (città libera ed alleata, formalmente indipendente), unica in Sicilia insieme a Tauromenium (Taormina). Il nome greco Messanion fu tradotto in latino come Messana.
Durante l'età repubblicana subì ancora attacchi durante le guerre servili (102 a.C. Cicerone, nelle orazioni contro Verre, la definì civitas maxima et locupletissima (città grandissima e ricchissima).Pompeo attaccò nel 49 a.C. la flotta cesariana che si riparava nel porto della città. Successivamente divenne una delle principali basi di Sesto Pompeo, che vi sconfisse la flotta di Ottaviano e venne in seguito saccheggiata dalle truppe di Lepido. In seguito divenne probabilmente municipio. Delle vicende della città in epoca imperiale non sappiamo quasi nulla.
Secondo la tradizione, San Paolo approdò sulla costa ionica della città e vi predicò il Vangelo.
Secondo la tradizione, San Paolo approdò sulla costa ionica della città e vi predicò il Vangelo.
messina nel medioevo:
Dopo una valorosa resistenza, Messina fu conquistata nell'843 dagli Arabi, sotto i quali subì un periodo di decadenza. Con la caduta di Rometta, ultima roccaforte dei Bizantini, nel 965 tutta la Sicilia era stata occupata e sottomessa agli Arabi. In quegli anni si costituì la Sacra Milizia dei Verdi per difendere il SS Sacramento portato agli infermi o in processione. Furono proprio nobiluomini messinesi a sollecitare l'intervento dei Normanni contro gli Arabi. Nel 1061, con la conquista di Messina da parte delGran Conte Ruggero D'Altavilla, iniziò la riconquista cristiana della Sicilia.
Sotto il dominio normanno la città si riprese economicamente e demograficamente e godette di un lunghissimo periodo di opulenza, che la vide patria di importanti personaggi (come il grande pittore quattrocentesco Antonello da Messina).
Da questo periodo ininterrottamente Messina esercitò il ruolo di metropoli della Sicilia orientale e della Calabria, punto di riferimento sotto gli aspetti economico, politico, militare, culturale, artistico e religioso sia per le città della vicina Calabria che per tutte quelle della Sicilia orientale.
Da questo periodo ininterrottamente Messina esercitò il ruolo di metropoli della Sicilia orientale e della Calabria, punto di riferimento sotto gli aspetti economico, politico, militare, culturale, artistico e religioso sia per le città della vicina Calabria che per tutte quelle della Sicilia orientale.
La città, sin dall'epoca normanna, ottenne numerosi privilegi dai Re di Sicilia, che esaltarono il ruolo già rilevantissimo del suo porto, facendola divenire capitale economica della Sicilia e la fecero, al pari di Palermo, capitale del Regno. Messina fu dotata di una Zecca e di un arsenale e fu fondato il monastero Basiliano del S. S Salvatore, centro di cultura greco-bizantina, di cui restano importanti codici. Risalgono a questo periodo molti importanti monumenti: il Duomo(che poi subì molte modifiche), la SS Annunziata (detta poi dei Catalani), S. Maria di Mili S. Pietro, S. Maria della Valle (detta la Badiazza). Vi era un poi palazzo reale con quattro torri.
Nel 1189, il Re inglese Riccardo Cuor di Leone, mentre si recava in Terrasanta per la terza crociata, si fermò a Messina per recuperare la dote della propria sorella Joan, già sposata conGuglielmo II di Sicilia. I contrasti con il re Tancredi indussero Riccardo a occupare la città insediandosi nel castello di Matagrifone dal quale dominava e spadroneggiava in città. Dopo quasi un anno Riccardo raggiunse un accordo sia con Tancredi che con uno dei suoi stessi compagni di Crociata, il re Filippo Augusto di Francia; l'accordo comprendeva la rinuncia di Riccardo a sposarsi con la sorella di Filippo, Alice, così da poter sposare la principessa Berengaria di Navarra.
Durante il periodo svevo, per concessione di Federico II, i Cavalieri Teutonici ebbero facoltà di costruire un loro Gran Priorato con ospedale e chiese, per avere sicura base per le imprese in Terrasanta; sorse così la chiesa di S. Maria Alemanna(o degli Alemanni), in stile gotico.
A seguito della rivolta dei Vespri siciliani contro gli Angioini, nell'estate del 1282, Messina fu posta sotto assedio da Carlo d'Angiò, consapevole che non avrebbe mai potuto avanzare all'interno della Sicilia se non dopo aver espugnato la città sullo stretto. L'assedio durò fino a tutto il mese di settembre, ma la città, strenuamente difesa da Alaimo da Lentini, non fu espugnata. Messina, nell'immediatezza dell'insurrezione, era già stata sede della Communitas Siciliae, un parlamento di città della Sicilia che avevano espresso un'aspirazione autonomistica, naufragata prestissimo di fronte al precipitare degli eventi bellici: i siciliani offrirono così la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona, marito di Costanza di Hohenstaufen, figlia del defunto Re Manfredi di Svevia, trasformando l'insurrezione in un conflitto politico fra siciliani e Aragonesi da un lato e gli Angioini, il Papato, il Regno di Francia e le varie fazioni guelfe dall'altra. Il 26 settembre 1282, Re Carlo, sconfitto, fece ritorno a Napoli.
Nel 1347, nei primi giorni di ottobre, nel porto di Messina arrivarono delle navi genovesi provenienti da Caffa (oggi chiamata Teodosia) nel Mar Nero. Poco tempo dopo l'arrivo delle navi, in città si manifesto un'epidemia: i malati presentavano rigonfiamenti di colore nero sotto le ascelle e all'inguine, con perdita di sangue e presenza di pus; le emorragie interne provocavano dolori lancinanti e portavano alla morte in pochi giorni, se non nel giro di ventiquattr'ore. Il morbo era la famigerata peste nera o peste bubbonica.
Quando i messinesi capirono che il contagio era da ricondursi all'arrivo delle navi genovesi, queste ultime vennero scacciate al largo, ma ormai l'infezione era dilagante e in poco tempo si sarebbe diffusa in tutta Europa con effetti devastanti fino al 1350. La peste nera del 1347 è quella ricordata da Giovanni Boccaccio nel Decameron.
Quando i messinesi capirono che il contagio era da ricondursi all'arrivo delle navi genovesi, queste ultime vennero scacciate al largo, ma ormai l'infezione era dilagante e in poco tempo si sarebbe diffusa in tutta Europa con effetti devastanti fino al 1350. La peste nera del 1347 è quella ricordata da Giovanni Boccaccio nel Decameron.
LA LEGGENDA DEL VASCELLUZZO:
Si narra che verso la fine del XIII secolo a Messina ci fu una tremenda carestia, aggravata dalla discordia che c'era fra gli amministratori messinesi e quelli stranieri presenti in città, questi ultimi infatti non si interessavano di fare coltivare il terreno in modo che la gente potesse nutrirsi.
Grazie ai "Vespri siciliani" Messina e Palermo si erano liberate dal dominio Angioino, chiamando come re della Sicilia Pietro III D' Aragona e dopo di lui Giacomo, poi Federico II D'Aragona. Prima di stabilire la pace di Caltabellotta, gli Angioini cercarono di riconquistare le città perdute nella guerra, soprattutto Messina.
Roberto D'Angiò, duca di Calabria, figlio di Carlo II e re di Napoli, per assalire Messina mandò il suo esercito a Catona e assediò Reggio Calabria, in modo che essa non potesse aiutare Messina. Questa, non potendo procurarsi il cibo, cominciava a languire. In quel momento, Messina era sotto il dominio di Federico II D'Aragona. Vedendo che tutta la città era in crisi, egli fece andare via tutte le persone che non erano abili al lavoro, ma, nonostante ciò, la situazione era sempre più grave. Allora Nicolò Palizzi gli suggerì di andare da Santo Alberto da Trapani che già da allora veniva considerato santo per alcuni grandi prodigi che aveva fatto. Il giorno seguente, Federico II, insieme alla sua corte, si diresse alla chiesa del Carmine in cui Sant'Alberto officiava la Messa. Durante l'offertorio egli cominciò a pregare e quando finì, una voce dal cielo parlò dicendo:" EXAUDIVIT DEUS PRECES TUAS!" che significa: "Dio ha esaudito le tue preghiere". Tutta la gente a queste parole si rallegrò perché sapeva di poter contare sulla grazia di Dio. Poco prima che i fedeli uscissero dalla chiesa si videro arrivare tre navi i cui equipaggi scaricarono del grano quasi senza parlare; le navi se ne ritornarono da dove erano venute, ma non si sa dove.
COLAPESCE:
Nicola detto Cola era figlio di un pescatore di capo Peloro, aveva una grande passione per il mare e passava tutto il suo tempo in acqua insieme al padre a pescare, ma tutto il pesce pescato lo rigettava in mare per ridargli vita La madre esasperata dal comportamento del figlio butta una maledizione su di lui e Cola si trasforma in pesce e diventa così Colapesce. Diventa un validissimo informatore per i marinai che gli chiedono notizie per evitare burrasche e in più essendo un abilissimo nuotatore fa da corriere tra i marinai e la terraferma.
Il capitano di Messina lo nomina palombaro. La sua fama divenne tale che un giorno il re Federico II in persona volle conoscerlo. Al loro incontro il re per mettere alla prova le sue famose capacità gettò in mezzo allo stretto una coppa d'oro chiedendo al ragazzo di recuperarla, e cosi Colapesce fece, riportò la coppa su e parlò al re delle meraviglie sottostanti, il sovrano allora regalò l'oggetto prezioso al piccolo Cola. Non contento Federico lanciò in mare la sua corona ed il ragazzo dopo due giorni e due notti riuscì a portarla in superfice. Colapesce racconta al re che la Sicilia si poggia su tre colonne di cui una perfetta una un po danneggiata ed una scricchiolante e corrosa da un fuoco magico che ardeva proprio vicino la colonna posta proprio sotto Messina. Il re allora decise di buttare un anello e chiede al ragazzo di recuperarlo, il ragazzo tentenna ma alla fine dice: “se vedete risalire solo l'anello, vuol dire che io non tornerò più”. Dopo diversi giorni l'anello riaffiorò a galla ma di Nicola non si ebbero più tracce. Il re capì che la storia della colonna e del fuoco era reale e che il piccolo uomo era rimasto sott'acqua per sorreggere la colonna corrosa.
Dina e Clarenza:
Nel 1282 scoppiò a Messina una rivolta contro i francesi, i quali nottetempo approfittando del riposo dei cittadini messinesi stanchi per le dure lotte, si aprirono un varco presso il colle della capperina(dove in seguito venne edificato il Santuario di Maria di Montalto). Alcune donne accortesi dell'invasione diedero l'allarme, tra queste donne ve ne erano due, una di nome Dina che incitava le compagne a lanciare sassi contro le truppe francesi e l'altra di nome Clarenza che era corsa a suonare le campane a stormo. I messinesi svegliatosi corsero in gran massa a respingere l'attacco. Per questo il colle della Capperina venne chiamato la Torre della Vittoria e le due eroine furono salutate come le salvatrici della città.
MATA E GRIFONE:
Intorno al 970 d.C. viveva a Messina una bellissima ragazza di nome Marta, figlia del re Cosimo II, che in dialetto si pronunciava Matta o Mata. In quegli anni sbarcò in città un gigante moro che con i suoi compagni pirati depredò la città. Un giorno il moro tale Hassan Ibn-Hammar, vide la bellissima fanciulla e se ne innamorò, la chiese in sposa ma ricevette un secco rifiuto. A questo punto, il pirata preso dall'ira, uccise e saccheggiò ancora più di prima. Re cosimo e la moglie preoccupati decisero allora di nascondere la figlia, ma il principe moro la trovò e la rapì con la speranza di convincerla a sposarlo. Mata non ricambiava il suo amore anzi passava le giornate pregando il Cristo affinché potesse liberarla da quella situazione. Alla fine il moro si converte al cristianesimo muta il suo nome in Grifone e divenne un uomo mite e buono. Mata allora decise di sposarlo. La tradizione vuole che Mata e Grifone furono i fondatori di Messina.
La leggenda del gigante "Tifeo":
Secondo una leggenda, la Sicilia è sorretta da un gigante: questo gigante si chiama Tifeo, che osò impadronirsi della sede del cielo e per questo venne condannato a questo supplizio.
Sopra la sua mano destra sta Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) gli comprime le gambe, e sopra la testa grava l'Etna. Dal fondo supino, Tifeo inferocito proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso si sforza di smuovere il peso e di scrollarsi di dosso le città e le grandi montagne: allora la terra trema.
Secondo una leggenda, la Sicilia è sorretta da un gigante: questo gigante si chiama Tifeo, che osò impadronirsi della sede del cielo e per questo venne condannato a questo supplizio.
Sopra la sua mano destra sta Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) gli comprime le gambe, e sopra la testa grava l'Etna. Dal fondo supino, Tifeo inferocito proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso si sforza di smuovere il peso e di scrollarsi di dosso le città e le grandi montagne: allora la terra trema.
La leggenda di "Scilla"
Glauco, trasformatosi metà pesce e metà uomo dopo aver mangiato dell'erba in un'isola incantata e divenuto un nuovo dio marino, si innamorò di Scilla, figlia di Crateide, la quale si aggirava per le spiagge di Zancle (Messina) dove abitava presso una caletta. Scilla spaventata da Glauco che cercava di fargli la corte, scappò rifiutandolo.
Glauco disperato, si rivolse a Circe raccontandogli tutto. Ma Circe dal canto suo, si era innamorata di lui e invece di aiutarlo iniziò a fargli la corte. Glauco fermo nelle sue intenzioni la respinse.
Circe avvilita e infuriata, volle vendicarsi di Scilla trasformandola in un mostro con i fianchi circondati da corpi e musi di cani. Scilla dolente della sua orrenda trasformazione, alla prima occasione sfogò il suo odio per Circe privando Ulisse dei suoi compagni mentre transitava dallo stretto con la sua nave. Più tardi avrebbe inghiottito anche le navi di Enea se prima non fosse stata trasformata in scoglio, in una roccia che sporge ancora sul mare.
la sua bellezza:
Cosa vedere a Messina? È possibile ammirare a Messina il più prestigioso monumento normanno voluto da Ruggero II, ovvero il “Il Duomo”, eretto a partire dalla prima metà del sec. XII e consacrato alla presenza di Enrico IV di Svevia nel 1197 con il nome di Santa Maria.
Restaurato più volte, a causa del terremoto e dei bombardamenti subiti durante la guerra nel 1943, il Duomo si presenta oggi ripristinato nelle sue forme essenziali normanne; l'interno d'impianto basilicale a tre navate è diviso da due fila di 26 colonne monolitiche con tre absidi e transetto, ricoperto nella navata centrale da capriate decorate con figure di Santi, Angeli, Apostoli Evangelisti.
Nell'arcata ogivale domina una “Madonna in trono col Bambino” e nel cuspide superiore, opera di Pietro Bonitate, si può ammirare il “Cristo che incorona la Vergine”. Sulla sinistra del Duomo, si eleva il Campanile alto circa 60m, costituito da un grande orologio i cui meccanismi danno vita agli automi, al calendario perpetuo e alle fasi lunari.. Ogni giorno, allo scoccare del mezzogiorno, è possibile ammirare sul lato ovest del campanile i congegni meccanici che animano figure scultoree, rappresentanti allegoricamente episodi storici, religiosi riguardanti la città di Messina, con un accompagnamento in sottofondo di musica sacra.
Un altro importante monumento è la chiesa di S. Francesco d'Assisi, il primo tempio eretto dall'Ordine Francescano in Sicilia e nota ai messinesi come l'”Immacolata”, per la statua argentea della Vergine che vi si conserva.
Il Santuario di Sant'Antonio sorge nella zona dell'antico quartiere “Avignone”, dove il beato Annibale Maria di Francia iniziò il suo apostolato ai più bisognosi.
La Chiesa di S. Annunziata dei Catalani, invece, rappresenta dal punto di vista architettonico, un esempio di stili diversi su di un impianto tardo bizantino.
Ed ancora da vedere sono: la Chiesa San Giovanni di Malta, di S.Maria Alemanna e Santa Maria della Valle.
Non di minore importanza il Museo regionale, dove è possibile apprezzare sarcofagi romani, busti, mosaici, tavole, sculture, argenti e oreficerie, manufatti del periodo normanno-svevo, e opere importanti quali il “Polittico di San Gregorio” di Antonello da Messina, l'“Adorazione dei pastori” e la “Resurrezione di Lazzaro” di Caravaggio.
Situata sui monti Nebrodi, sulle “Montagne delle felci e dei Porri” si trova la riserva regionale, costituita da un'isola di origine vulcanica in cui prevalgono montagne e piante selvatiche tipiche della macchia sempreverde. La zona è abitata prevalentemente dal ghiro e dall'avifauna (falco della regina).
Situata sui monti Nebrodi, sulle “Montagne delle felci e dei Porri” si trova la riserva regionale, costituita da un'isola di origine vulcanica in cui prevalgono montagne e piante selvatiche tipiche della macchia sempreverde. La zona è abitata prevalentemente dal ghiro e dall'avifauna (falco della regina).
Di spettacolare imponenza è il suggestivo “Stretto di Messina”, braccio di mare che collega il Mar Ionio con il Mar Tirreno e che, separando le due città di Messina e Reggio Calabria con le rispettive aree urbane, separa la Sicilia dalla Calabria, dunque dall'Italia peninsulare e dal continente.
La navigazione dello Stretto ebbe nell'antichità fama paurosa: realmente presenta notevoli difficoltà, specialmente per le correnti rapide ed irregolari. Anche i venti vi spirano violenti e talora in conflitto tra loro. Un fenomeno atmosferico particolare, detto “Fata Morgana”, può presentarsi tra le due coste, messinese e calabrese. Questa forma speciale di miraggio, visibile assai di rado, per breve tempo e di solito con giornate calde ed aria e mare calmi, sembra ravvicinare la sponda sicula, sulla quale gli edifici ed in generale gli oggetti si prospettano in mare o nell'aria con immagini stranamente allungate, deformate, che si rinnovano continuamente, simulando città fantastiche ed anche schiere d'uomini in movimento.
Una spiegazione sicura del fenomeno non si conosce, sebbene il fenomeno sia uguale in un certo senso a quello dei deserti.
la grotta di polifemo (milazzo):
L'antichità della terra di Milazzo si perde nel mito, tanto che la tradizione ricorda la Grotta di
Polifemo ubicata sul costone della Rocca su cui ora sorge il Castello . E' una grotta naturale
che nel Seicento ospitava la fabbricazione di polvere e salnitro. Ampliata dal Genio Militare nel
1943 per installarvi delle artiglierie, le credenze popolari la vogliono vedere come l'antica
abitazione in cui Polifemo imprigionò l'astuto Ulisse con i suoi uomini. La leggenda racconta che
Polifemo governava gli armenti del dio Sole, in questa terra (chiamata Chersoneso d'oro)
cantata dai greci per la bellezza, il clime e la fertilità, quando Ulisse, uomo dal multiforme
ingegno, vi approdò dopo un naufragio.
Negli anni sessanta-settanta era un famoso locale per i milazzesi che ci organizzavano feste e
matrimoni. Purtroppo a fine anni 70 la grotta è stata chiusa e da allora non ha più riaperto i
battenti. Una malinconica targa avverte che quella è la Grotta di Polifemo ma non può essere
visitata.
i santi e la storia :
Da una leggenda nasce l'origine del nome della Madonna: i messinesi inviarono attraverso San Paolo un messaggio alla Vergine che si trovava a Gerusalemme.
Alla richiesta la Vergine rispose con una lettera di benedizione in lingua ebraica, legata con i suoi stessi capelli; nella lettera si leggeva: "vos et ipsam civitatem benedicimus" (benediciamo voi e la stessa città); questa frase è stata poi riportata alla base della statua. I capelli furono ritrovati nel 430 d.C. e custoditi in una teca.
Nel 1626 fu costruita un'apposita varetta in argento ad opera dei più bravi artigiani del tempo per riporvi la sacra reliquia. La festa della patrona si svolge, tra sacro e profano, il 15 agosto quando viene portato in trionfo sul carro il simulacro della Madonna.
Questa volta si tratta di una rappresentazione dell'Assunzione della Vergine al cielo originariamente creata per celebrare la vittoria militare dell'imperatore Carlo V a Tunisi.
"La vara messinese dell'Assunta - riporta M. A. Di Leo in Feste popolari di Sicilia - è infatti uno dei più celebri e antichi carri devozionali esistenti ancora oggi in Europa. Anticamente era alta circa quindici metri e pesante circa otto tonnellate.
Su di essa prendevano posto bambini di età compresa tra i quattro e i quindici anni che venivano legati per mezzo di corde e per i quali l'estenuante giro della città costituiva un vero supplizio.
Col tempo i bambini sono stati sostituiti da personaggi di cartapesta.
Nel 1681, per un guasto al meccanismo della vara, la giovane che impersonava la Vergine e quattro bambini che impersonavano gli angioletti precipitarono giù dal carro, fortunatamente senza ferirsi in modo grave; i fedeli addebitarono la causa di questo incidente alla fanciulla che raffigurava la Madonna supponendo che non fosse illibata.
A seguito di quell'incidente il clero mise maggior cura nella scelta della ragazza che doveva rappresentare la Vergine e la giovane scelta godeva del privilegio di fare il giro delle case nobiliari dove riceveva doni per la sua dote".
Oggi la vara inizia il suo percorso in Piazza Castronovo e da qui procede fino in piazza Duomo dove il vescovo benedice sia i fedeli che il carro.
maria di nazaret:
Secondo la tradizione, verso l’anno 42 si trovava a Reggio Calabria l’apostolo Paolo di Tarso che, su invito dei Messani, venne a sbarcare in Sicilia, circa 12 Km a sud di Messana (vicino l’attualeGiampilieri) in una località che fu chiamata Cala San Paolo.
A Messina l’apostolo non si fermò per molto. Infiammati dalla sua predicazione, molti cittadini si convertirono al Cristianesimo e molti di loro manifestarono il desiderio di andare a visitare i luoghi santi e, possibilmente, di conoscere di persona anche Maria di Nazareth ed i suoi familiari. Paolo di Tarso fu ben felice di accontentarli. Di questa delegazione la tradizione della Chiesa messinese ricorda Geronimo Origgiano, Marcello Benefacite, Centurione Mulè e Brizio Ottavia.
Al loro arrivo a Nazareth, Maria accolse i delegati con materno affetto, ed alla loro partenza li gratificò di una lettera di protezione, arrotolata e legata con una ciocca dei suoi capelli. La delegazione tornò a Messana l’8 settembre dello stesso anno.
Nei secoli i messinesi sono stati sempre molto legati alla loro celeste patrona Maria Vergine della Sacra Lettera con grande orgoglio e devozione.
Maria è stata punto di riferimento nei loro momenti sia felici che difficili. Al commovente grido di Viva Maria gli abitanti della Città dello Stretto hanno sempre iniziato le grandi rivolte come quella antispagnola del 1678 o quelle risorgimentali del 1847-48
La Madre di Cristo è stata anche da sprono nei momenti di dura difficoltà che la città ha subito nella sua lunga e gloriosa storia, si ricordano le tante pestilenze che hanno funestato ogni secolo, i grandi terremoti dell’11 Gennaio 1693, del 5 Febbraio 1783 e del 28 Dicembre 1908, i terrificanti bombardamenti anglo-americani del 1943 che mieterono tantissime vittime innocenti. In questi tristi episodi “‘a Matri ‘a Littra” è stata sempre, nel cuore dei messinesi, sostegno e motivo di rinascita. Numerosi sono gli interventi miracolosi a lei collegati che anche gli storici narrano. Ricordiamo durante la Guerra del Vespro l’apparizione sul Colle della Caperrina della Dama Bianca che con il suo candido manto difese le mura della città dagli attacchi angioini, inoltre il miracoloso volo, sempre sul Colle della Caperrina, di una colomba sul luogo dove la Madonna voleva fosse eretto un santuario. Si racconta anche dell’apparizione della Vergine, intorno al XV secolo, nelle campagne di Curcuraci, villaggio prossimo a Messina, in difesa della città dalle ire del Figlio, per non parlare del ripetuto e miracoloso arrivo di vascelli carichi di grano in occasione di varie carestie, tra cui grazie anche all’intercessione di Sant’Alberto Carmelitano. Da segnalare anche i miracolosi arrivi dal mare delle icone della Madonna di Dinnamare e della Madonna della Scala.
Tali ed altri numerosi episodi rendono effettivamente Messina città mariana.
I messinesi a ringraziamento della loro Celeste Patrona le hanno sempre reso omaggio, senza badare a spese, commissionando opere, a lei dedicate, nel campo dell’arte, della musica e della letteratura (Santi Correnti La Sicilia del Seicento Milano 1976, pag. 123). Molti sono i dipinti, gli argenti, i monumenti in suo onore tra i quali spicca la colossale stele marmorea, eretta negli anni trenta, posta all’ingresso del porto sul cinquecentesco Forte San Salvatore, per volontà dell’Arcivescovo del tempo S. E. Mons. Angelo Paino
Particolari le rinomate feste secolari che cadevano ogni qualvolta che il secolo terminasse con il 42. Quelle del 1642, del 1742 e del 1842 rimasero famose e narrate dai numerosi visitatori e viaggiatori stranieri per i grandi apparati scenici, per le fontane erette per l’occasione e per i grandi festeggiamenti cui non mancarono mai Viceré e Sovrani del tempo
Grazie a questo forte legame, soprattutto nei secoli passati, immagini della Madonna della Lettera si ritrovano in varie parti della Sicilia, dell’Italia ed anche del Mondo. Realizzate o portate in gran parte dagli stessi messinesi, sono simboli di questa forte devozione mariana. Esempio significativo è la singolare commissione di un quadro alla Madonna della Lettera da parte di uno dei più celebri messinesi, l’architetto Filippo Juvarra. Egli, trasferitosi definitivamente in Piemonte, decise di far realizzare in una chiesa di Torino a Corrado Giaquinto un grande tela raffigurante la Vergine Maria per mantenere un legame con la sua città natale e la sua Celeste Patrona. Innumerevoli i dipinti sparsi nelle principali città della Sicilia posti tutti ove erano presenti comunità peloritane, come il dipinto realizzato a Roma dal Pomarancio, ancora oggi venerato dalla comunità messinese della capitale presso la Basilica di San Pietro in Montorio.
Molti di questi dipinti venivano donati dal Senato di Messina per sancire una alleanza, infatti, soprattutto nel Settecento, da Messina furono inviate numerose fedeli riproduzioni dell’immagine venerata nel Duomo a Città sorelle come Trapani, Palermo, Siracusa e Catania.
Un’altro aspetto della devozione alla Celeste Patrona è l’istituzione, a partire dal Seicento, di numerose confraternite a lei intitolate, come: la Congregazione degli Schiavi della Madonna della Lettera sotto il Duomo, la Congregazione della Madonna della Lettera ai Messinesi al Borgo San Leone e la Confraternita della Madonna della Lettera dei Macellai.
Un’altra peculiarità che testimonia il forte culto dei messinesi verso la loro patrona sono le cosiddette medaglie ombelicali. Queste venivano conservate in ogni famiglia ed al momento della nascita venivano applicate sull’ombelico appena reciso e fermate da una apposita fascia in tessuto colorato, larga circa venti centimetri e lunga quasi due metri. La funzione loro attribuita era quella di evitare l’insorgere dell’ernia ombelicale, rischio frequente nel neonato. A tale scopo il rovescio della medaglia era perfettamente levigato ed il peduncolo in cui era inserito un anello destinato al nastro era ritorto in avanti onde evitare di irritare la pelle delicata del nascituro. Messina, che con la sua Zecca dimostrò sempre capacità nella lavorazione minuta dei metalli e fiorente fu sempre l’attività delle botteghe di orafi ed argentieri, ha ideato questo originale tipo di medaglia a carattere devozionale costituendone una sorta di peculiarità della Città dello Stretto. L’uso che dagli esemplari più antichi può farsi risalire al XVI secolo fino al secondo dopo guerra per scomparire rapidamente nell’arco di una o due generazioni. La figura più ricorrente è quella della Madonna della Sacra Lettera ma non mancano le rappresentazioni di altre figure sacre fortemente radicate nel territorio (Franz Riccobono Le Medaglie MessinesiMessina 2000).
Nel 1726 fu pubblicato anonimo a Messina un grosso poema eroico, dal titolo “La Sacra Lettera”, dedicato dalla signora D. Francesca Dini e Salvago, che ne curò la stampa, alla Vergine. Poema rimasto inedito per quasi un secolo e di cui si volle autore il celebre poeta secentista Francesco Bracciolini. Si narra a questo proposito che il Cavaliere Gerosolimitano Don Benedetto Salvago stando a Roma presso il Pontefice, come rappresentante della Città di Messina, conobbe il Bracciolini al quale narrò tutti i particolari dell’Ambasceria della Sacra Lettera. Il poeta toscano ne rimase impressionato e scrisse in ottave ed in sedici canti tutta la sacra storia cantando in versi anche la grandezza e le glorie di Messina.
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