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giovedì 14 marzo 2013

SIRACUSA QUALI TESORI NASCONDE?


Syracusae (-arum) era il nome latino di Siracusa. La forma plurale si deve al fatto che, come descritto da Cicerone nella sua memorabile orazione contro Verre, la città era tanto grande da potersi di fatto considerare composta da cinque città: Ortigia, Acradina, Tiche, Neapoli ed Epipoli. Ancora oggi, benchè le dimensioni della città non siano più quelle dell'epoca del tiranno greco Dionigi o di Cicerone, le cinque parti sopra indicate costituiscono i cinque quartieri storici in cui è divisa (che ad ogni Ferragosto si contendono il "Palio del Mare" in una regata su barche a quattro remi lungo il periplo di Ortigia).
Nulla rende l'idea della antica magnificenza di Siracusa meglio delle dirette parole del buon vecchio Cicerone, tanto "caro" agli studenti di tutti i tempi:




La città siracusana in Sicilia fu fondata nell'VIII secolo a.C. da coloni greci provenienti da Corinto. Fu la città di primaria importanza nella Sicilia greca e fra le grandi metropoli del mondo classico, nonché capitale del primo "impero" del Mediterraneo occidentale.
Conquistata dai Romani nel 212 a.C., fu capitale della provincia di Sicilia. Ancora importante sotto il dominio bizantino, fu presa dagli Arabi nell'878, iniziando un lungo declino e perdendo la residua primazìa siciliana. Nell'XI secolo fu riconquistata dai Bizantini e passò quindi sotto il dominio dei Normanni. Dopo un breve dominio genovese nel XIII secolo, seguì le vicende di tutta la Sicilia (Regno di Sicilia e Regno delle Due Sicilie, prima, e Regno d'Italia poi).La storia di Siracusa inizia con i primi insediamenti preistorici di popolazioni dell'età del bronzo e del ferro.
Dato che la storiografia e la scienza archeologica non sono ancora riusciti a chiarire l'esatta origine dei Sicani e Siculi, si è arrivato anche a pensare che potessero essere lo stesso popolo, inoltre vi è parecchia incertezza sui loro primi spostamenti all'interno della Sicilia, per cui anche per Siracusa c'è un certo mistero risalente appunto all'inizio dei tempi di questa città.
Dai resti di capanne preistoriche ritrovate in varie zone urbane, appare comunque evidente che il territorio siracusano è stato interessato dall'abitato delle popolazioni autoctone della Sicilia.
La vicinanza con Pantalica (il sito definito "la Capitale dei Sicani prima e dei Siculi"') suggerisce che anche Siracusa abbia avuto prima un popolo Sicano e poi, seguendo la storiografia ufficiale, è arrivato il popolo dei Siculi che ha scacciato i Sicani verso l'entroterra siciliano tra EnnaAgrigentoPalermo, dove infatti vi è una catena montuosa che tutt'oggi porta il nome di quell'antico popolo i Monti Sicani.
Sono molte le necropoli di epoca sicula rinvenute nei dintorni di Siracusa: Thapsos, nella penisola di Magnisi, vicino Priolo; la necropoli del Plemmirio; Scala Greca, verso il lato nord della città; tra Santa Panagia e la scogliera sono stati rinvenuti coltellini di silice, frammenti di coltelli di ossidiana; la necropoli di Cozzo del Pantano; e le tracce di epoca sicula ad Ortigia.
Sono inoltre state ritrovate necropoli che si pensa risalgano ad un tempo precedente a quello dei siculi; definito Periodo Litico, ne fanno parte la latomia detta "la Cava del Filosofo" , dove sono state ritrovate molte schegge e materiale litico tanto da destare il sospetto che lì ci fosse stata una vera officina. E le genti che ci hanno lasciato questi reperti si pensa fossero di stampo ibero-liguroide imparentate con il ramo della famiglia umana che nell'occidente europeo lasciò i dolmen; dunque popolazioni diverse dai siculi.
E anche la necropoli di Stentinello è una conferma di ciò; qui l'archeologo Paolo Orsi riconobbe materiale molto arcaico, che lo portò a pensare che la popolazione di quel villaggio vivesse in piena età litica e che non conoscesse altro di diverso dall' ascia basaltica ed il coltello, precedente alle successive scoperte che avverrano nell'età eneolitica, ovvero l'età del rame.
Grazie ai reperti ritrovati è stato possibile appurare che le popolazioni siracusane dell' età del Bronzo e del Ferro avevano già rapporti commerciali con i popoli del mare Egeo; risalgono infatti a questo periodo i frammenti di vasellame ritrovati con decorazioni base che non riportano alle influenze italiche, ma ben si trovano riscontri e similitudini con le usanze decorative grezze provenienti da Troia e da Micene.
L'archeologo Orsi ha dimostrato con le sue scoperte che la popolazione sicula di quell'epoca conosceva l'arte micenea.
Non sono molte le testimonianze scritte che ci parlano del periodo pre-greco di Siracusa, eppure dovettero avere grande importanza, dato che lo stesso nome della città risale proprio all'origine del linguaggio siculo.

LA FONDAZIONE:
La fondazione di Siracusa viene storicamente fissata nel 734 o 733 a.C. ad opera di un gruppo di Corinzi guidati da Archia (mitologia) assieme al poeta Eumelo di Corinto, che sbarcati nei pressi del fiume Anapo insediarono nell’isola di Ortigia.
Il luogo prescelto era strategico, sia per la posizione geografica al centro del Mediterraneo e quindi degli scambi commerciali, sia per la presenza di caratteristiche naturali invidiabili: doppio porto sicuro, abbondanza di risorse idriche, territorio facilmente difendibile. Il nome della città probabilmente deriva dalla lingua sicula Syraco che vuol dire palude, per la presenza di paludi nell'attuale zona dei Pantanelli, da cui poi la parola greca Syracoùssai. Si hanno infatti tracce di presenza autoctona nei pressi della città sin dal IV millennio a.C., con i villaggi preistorici di Stentinello, Ognina, Plemmirio, Matrensa, Cozzo Pantano e Thapsos, che già da allora avevano allacciato rapporti commerciali con il mondo Miceneo.
L'insediamento greco determina quindi la cacciata della popolazione indigena (i siculi) verso l’entroterra, scatenando nei primi periodi una serie di guerre vinte da Siracusa, che man mano rafforzarono il suo potere su territori sempre maggiori.



L'ESPANZIONE:



In questo periodo vengono edificati i templi più arcaici della Sicilia: il tempio di Zeus e il tempio di Apollo oltre ad espandere la propria presenza anche nella terraferma con la creazione delle necropoli arcaiche: la necropoli di Fusco e quella del Giardino di Spagna nei pressi dell'ospedale Umberto I.
Nascono quindi le prime colonie di Siracusa da parte di corinzi giunti nei territori siciliani: Akrai (664) nei pressi di PantalicaCasmene (643) avamposto militare sul monte Lauro e Camarina (598) la più lontana delle colonie che si rese indipendente dalla città-madre nel 553 a.C. grazie ad una ribellione sostenuta anche dai Siculi.
« Acre e Casmene furono fondate dai Siracusani: Acre settant'anni dopo Siracusa, Casmene vent'anni circa dopo Acre. Anche la colonizzazione più antica di Camarina si deve attribuire ai Siracusani, circa centotrentacinque anni dopo che si fondò Siracusa; ne furono nominati ecisti Dascone eMenecolo»Nel 492 a.C. Ippocrate di Gela avviò una campagna di conquista della Sicilia, dopo una vittoria nei pressi del fiume Eloro Siracusa si salvò grazie all'intervento di Corinto e Corcira, per cui si ebbe un trattato di pace che gli concedeva il possesso di Camarina



IL PRIMO TIRANNO
:
Gelone quindi consolidò il suo potere lasciando il governo di Gela nelle mani del fratello Ierone e stringendo un'alleanza con Terone di Agrigento. Sorgono così, al di fuori delle mura, i quartieri di Tyche e Neapolis, e avviata una grande opera di monumentalizzazione della città. Vicino al teatro greco costruì il tempio di Demetra e Kore e il monumento-mausoleo di Gelone fece costruire per se stesso e per la propria moglie Damarete vicino all'Olimpeion, fuori delle mura cittadine: si trattava di una grande costruzione a nove torri, intercalate da una breve cortina muraria. Ma il provvedimento più interessante dal punto di vista urbanistico, fu di spostare l'agorà da Ortigia, ad Acradina nella zona tra piazzale Marconi e il Pantheon dei caduti.
Si sviluppa inoltre il Teatro Greco che iniziò ad attrarre anche una vivacissima attività culturale: ne è esempio la presenza di EschiloArione di Metimma e Cinto di Chio che introdussero a Siracusa le recitazioni omeriche, il poeta Epicarmo, e persino la grande poetessa Saffo venuta in esilio da Mitilene.
In questo modo Gelone accresce la presenza greca in Sicilia espandendo i territori della città, allentando anche la pressione dei Siculi e dei Sicani ai confini della capitale greca. Nel 485 a.C. distrusse Camarina deportando i cittadini, stessa cosa fece nel 481 a.C. quando conquistò Megara Hyblaea. Anche da Gela spostò metà della popolazione in modo da accrescere la popolazione della città e rafforzare numericamente anche l'esercito e la marina.
« Per cominciare condusse a Siracusa tutti i cittadini di Camarina (di cui rase al suolo la rocca) e li rese cittadini; lo stesso fece con più di metà degli abitanti di Gela. Dei Megaresi di Sicilia, quando, assediati, vennero a patti, trasferì a Siracusa e rese cittadini i benestanti, quelli che avevano scatenato la guerra contro di lui e credevano per questo di fare una brutta fine; i popolani di Megara, invece, che non erano responsabili di questa guerra e che non si aspettavano di subire alcuna vendetta, li condusse pure a Siracusa, ma li vendette fuori della Sicilia. La stessa discriminazione applicò agli Euboici di Sicilia; agiva così nei confronti degli uni e degli altri, perché giudicava il popolino un coabitante assai molesto. »


Dopo le precedenti vittorie belliche a fianco di Terone, divenne inevitabile lo scontro con i Cartaginesi comandati da Amilcare e chiamati da Terillo di Himera. Grazie alla preparazione degli eserciti greci nel 480 a.C., Gelone e Terone riportarono una grande vittoria, che sancì il predominio greco sull'isola. I Cartaginesi infatti dovettero pagare un pesante indennizzo e - scrive Erodoto - nel trattato stipulato, Gelone inserì che essi dovevano rinunciare ai sacrifici umani e all'immolazione dei figli primogeniti nei tofet. In questo modo i Cartaginesi non tentarono più di conquistar terre in Sicilia per almeno settant'anni. In memoria della vittoria venne eretto il tempio di Athena a Siracusa e il tempio della Vittoria a Himera, e coniata una nuova moneta detta Demareteion, inoltre utilizzando manodopera cartaginese costruì anche l'importante acquedotto Galermi, che consentì a Siracusa un abbondante approvvigionamento di acqua.


LA MORTE DI GELONE:
Ma dopo le vittorie, il tiranno di Siracusa riunì il popolo pronunciando un discorso dove elencava le vittorie del suo governo e la grandezza raggiunta dalla città. Poi sorprendendo tutti, disse di rimettere il potere nelle mani del popolo, il quale con un'ovazione lo acclamò ancor una volta sovrano di Siracusa. Poi anni dopo, per la sua morte Gelone ebbe enormi funerali e l'erezione di una statua e di un mausoleo che glorificava un tiranno entrato nel mito.
Alla morte di Gelone nel 478, succedette il fratello Ierone che lasciato il trono di Gela lo concesse al fratello Polizelo. Tuttavia proprio per ragioni dinastiche sorse una guerra tra i due fratelli che vide anche come protagonista la città di Sibari. I crotoniani infatti nel 477 a.C. attaccarono la città che chiese aiuto a Siracusa, Ierone quindi nella speranza di liberarsi del fratello Polizelo, lo convinse ad andare in soccorso della città. Purtroppo le fonti antiche su questo evento sono poco chiare, tanto da rendere dubbio l-effettivo intervento militare[3]. Polizelo comunque, scoperto l'inganno decise di muovere guerra contro il fratello e solo con la mediazione del poeta Simonide lo scontro si risolse nel 476 a.C., con Polizelo che si rifugia presso il suocero Terone adAgrigento.

Nel 474 a.C. Siracusa affronta gli Etruschi nelle acque di Cuma, per soccorrere i cumani in difficoltà. Grazie alla potente armata la città riporta una storica vittoria per il destino di Siracusa ma anche per quello della Magna Grecia; con questo successo infatti viene definitivamente arrestata l'avanzata degli etruschi nel mediterraneo in favore dei Greci. Essi tenteranno successivamente di vendicarsi della sconfitta appoggiando Atene nel corso della Spedizione in Sicilia (415-413 a.C.). Nel 476 a.C., acquisito il controllo di Leontini Ierone deporta gli abitanti da Nasso e Catania modificando anche il nome di quest'ultima in Aitna facendola amministrare da suo figlioDinomene[4].
Anche con Ierone la città conosce un importante sviluppo culturale che richiama l'attenzione di personalità come il poeta Simonide,BacchilideEpicarmo e Pindaro che esalteranno il reggente nelle loro composizioni. Eschilo scriverà anche la tragedia perduta Le etnee in onore della nuova città ricostruita dal tiranno che rappresenterà per la prima volta al teatro greco assieme a "I persiani". InfinePitagora da Reggio esegue sculture per il reggente.


LA FINE DELLA TIRANNIA:


Alla morte di Ierone vi succede il fratello Trasibulo (467 a.C.), che Diodoro Siculo definisce "violento e assassino". Il suo regime sanguinario infatti avrà breve vita proprio per la cattiva gestione del potere. Dopo aver sconfitto Trasideo tiranno di Agrigento figlio di Terone (466 a.C.), una coalizione di insorti siracusani appoggiata da truppe di Akragas, GelaSelinunteImera e persino da soldati siculi rovesciò il potere dispotico per instaurare una giovane democrazia protetta anche dall'introduzione delpetalismo. Tuttavia secondo Aristotele la caduta di Trasibulo e quella di Trasideo, furono favorite soprattutto dalle lotte all'interno delle famiglie le quali decretarono la sparizione del regime tirannico dei Diomenidi a Siracusa. La cacciata di Trasibulo da allora fu celebrata ogni anno a Siracusa con sacrifici animali a Zeus Eleutherios.


LA RICONQUISTA SIRACUSANA DELLA SICILIA:
Le rivolte democratiche di Siracusa avranno eco in tutta la Sicilia. Nel 452 a.C. il re siculo Ducezio si mette a capo di un movimento di rivolta che libera dal giogo greco Etna, MineoMorgantinaPalikè ecc. Ma due anni dopo, una volta riorganizzato il potere centrale della città, Siracusa riprese militarmente il comando delle città "liberate", proseguendo la sua politica espansionistica in Sicilia con interventi persino contro l’isola d'Elba e la Corsica. Tuttavia la città nodale è certamente Lentini, rivale storica tornata nuovamente sotto le mire siracusane. I vari tentativi di conquista costringono la città calcidese a rinnovare l'alleanza con Atene in funzione anti-siracusana in Sicilia e anti-spartana in Grecia (427 a.C.). Questa strategia politica che rientra nel vasto quadro di lotte scaturite dalla Guerra del Peloponneso, suggerisce ad Ermocrate la firma di un accordo di pace con Lentini e la presa di posizione durante il congresso di Gela del 424 a.C. per ribadire l'autonomia delle ex colonie greche di Sicilia dalla madrepatria: allontanando così il pericolo ateniese. Due anni dopo però a Lentini si riaccendono le lotte tra gli aristocratici legati a Siracusa, e i democratici legati ad Atene. Gli aristocratici così si rivolgono a Siracusa, che interviene immediatamente determinando la distruzione della città e facendone disperdere gli abitanti. I nobili verranno trasferiti a Siracusa ottenendo la cittadinanza, ma dopo alcuni anni non contenti del trattamento che riserva loro la nuova patria, fanno ritorno in città ed allearsi con i vecchi avversari politici, i democratici. All'orizzonte così si avvicina una nuova guerra per Siracusa, questa volta contro Atene.


LA SIRACUSA  RINASCIMENTALE:

Gli ultimi anni Borbonici furono per Siracusa sofferenti; Nel 1837, come si è detto in precedenza, in città era scoppiata l'epidemia di colera, e dei rivoluzionari siracusani pensarono che accusando i sovrani Borbonici di avere avvelenato acqua e cibo e di avere quindi provocato la grave epidemia, il popolo si sarebbe ribellato alla monarchia e avrebbe cacciato i Borboni spingendo ulteriolmente verso l'unità d'Italia; ma invece così non avvenne. I siracusani allarmati dal manifesto accusatore (che era stato firmato proprio dal sindaco della città e redatto dal patriota Mario Adorno) invece di combattere contro i soldati borbonici andarono in giro per le vie cittadine a cercare i "responsabili" dell'epidemia tra la gente comune; questo allarmismo, misto alla non conoscenza e ignoranza dell'epoca (dal verbo ignorare = non conoscere) provocò la morte di molta gente innocente.
Inoltre questo manifesto accusatore non restò segreto al Re Ferdinando II di Borbone, il quale venuto a conoscenza che i moti rivoluzionari anti-borbonici erano giunti anche a Siracusa, la fece declassare e le tolse quindi il titolo di "Capovalle", assegnandolo a Noto, unica cittadina a non aver provocato moti anti-borbonici.
Era il 4 agosto 1837 quando il maresciallo di Campo Marchese Del Carretto, dichiarava Siracusa città scellerata per aver partecipato ai moti rivoluzionari per l'unità d'Italia.[24]
Il 13 agosto dello stesso anno, l'alto commissario Del Carretto, fece arrestare e fucilare in piazza Duomo, a Siracusa, alcuni fra i più accesi cospiratori, fra cui Mario Adorno (l'autore del manifesto accusatore contro i Borbone, che venne stampato anche negli altri centri di Sicilia, in delle regioni d'Italia e persino all'estero) e suo figlio Carmelo, Concetto Sgarlata, Santo Cappuccio, Gaetano Rodante.
Punita e declassata inizia per Siracusa un periodo molto difficile; le vennero date imposte da pagare, non venne ascoltata nei suoi reclami, veniva contraddetta nei Consigli. La sua Diocesi venne dimezzata; Noto diventò anche sede vescovile.
Inoltre, l'epidemia di colera continuò per diverso tempo, molte furono le famiglie siracusane che in questo periodo abbandonarono la città.
Alla già disastrata condizione sociale, si aggiunse anche l'onere economico di dover mantenere altri soldati borbonici, poiché il Re Ferdinando II, non fidandosi più dei siracusani, fece giungere in città rinforzi per evitare il ripetersi di ribellioni pro-unitarie. E il costo di questi soldati era a carico del comune già stremato.
Durante il periodo del 1848, l'anno conosciuto come la Primavera dei Popoli, per via dei moti rivoluzionati scoppiati in tutta Europa e partiti proprio dalla Rivoluzione Siciliana, Siracusa chiese ed ottenne dal nuovo governo rivoluzionario con a capo Ruggero Settimo, di poter riacquistare il titolo di Capovalle.
Ma la ripresa durò poco, infatti le monarchie d'Europa si ribellarono e repressero con la violenza i tanti moti rivoluzionari che si erano accesi un po' ovunque. Siracusa venne costretta alla resa, il sacerdote e patriota siracusano, Emilio Bufardeci, firmò per ordine di Ruggero Settimo l'armistizio con il generlae Palma che decretava la caduta della piazzaforte siracusana.
Il 1º agosto 1860 i garibaldini arrivarono a Siracusa decretando il passaggio della città sotto il controllo di Garibaldi. Il 21 ottobre 1860 avvenne la votazione per annettere la Sicilia al nuovo stato unitario. Con la nascita dell'Italia, Siracusa ebbe nuovamente il titolo di "città capoluogo".
Da sottolineare inoltre, la lettera di Leopoldo Conte di Siracusa, fratello del Re Ferdinando II di Borbone e zio dell'ultimo Re delle Due Sicilie, Francesco II di Borbone; Scrisse al regnante suo nipote, da Siracusa a Napoli, gli fece recapitare una missiva dal contenuto pro-unitario, questa lettera, che venne distribuita alle cancellerie d'Europa, e quindi ai giornali, si dice che ebbe un ruolo destabilizzante verso il già traballante ultimo Regno delle Due Sicilie. Estratto della lettera:
"Sire, salvate, che ancora ne siete in tempo, salvate la Nostra Casa dalle maledizioni di tutta l'Italia! Seguite il nobile esempio della Regale Congiunta di Parma, che allo irrompere della guerra civile sciolse i sudditi dalla obbedienza, e li fece arbitri dei propri destini. L'Europa e i vostri popoli vi terranno conto del sublime sagrifizio; e Voi potrete, o Sire, levare confidente la fronte a Dio, che premierà l'atto magnanimo della M.V." ...
E la lettera proseguiva poi tutta sullo stesso tono di rimprovero verso i Borbone e di unità verso gli altri Stati D'Italia.
Questa missiva si dice ebbe grande risalto in PiemonteInghilterra e Francia.
Ricevette numerosi complimenti da parte degli unitari per quel suo scritto, e venne insignito dal Re Vittorio Emanuele del titolo di "Luogotenenza in Toscana".
Dal lato dei pro-borbonici invece la figura del Conte Leopoldo di Siracusa è vista, tutt'oggi, come quella di un traditore della causa borbonica.



GIUSEPPE GARIBALDI:
Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza, nell'attuale Piazza Sprovieri, in un periodo in cui la relativa contea (già parte dei domini sabaudi) era sotto sovranità francese. Fu battezzato il 29 luglio 1807 nella chiesa di San Martino di Acri e registrato come Joseph Marie Garibaldi, cittadino francese.
La sua famiglia si era trasferita a Nizza nel 1770; il padre Domenico Garibaldi (1766-1841), originario di Chiavari,era proprietario di una tartanachiamata Santa Reparata. La madre Rosa Raimondi (1776-1852) era originaria di Loano, nel 1807 territorio francese (sino al 1805 Repubblica Ligure).
Giuseppe era il secondogenito di sei figli: Angelo, il fratello maggiore, divenne console negli Stati Uniti d'America, Michele fu capitano di marina, Felice rappresentante di una compagnia di navigazione, Elisabetta e Maria Teresa morirono in tenera età: la prima in un incendio insieme alla balia, la seconda di malattia.
Per diverso tempo, gli storici dettero credito a una versione,dimostratasi poi falsa,secondo la quale Garibaldi avrebbe avuto origini tedesche. La famiglia divideva con alcuni parenti, i Gustavin, una casa sul mare. Dell'infanzia di Giuseppe si hanno poche notizie, per lo più agiografiche. Risulta invece certa la notizia che a 8 anni salvò una lavandaia caduta in acqua e che il soccorso a persone in procinto di annegare fu una costante, tanto che ne salvò almeno 12. Nel 1814 la casa dei Garibaldi fu demolita per ampliare il porto e la famiglia traslocò. Nel 1815 Nizza fu restituita al Regno di Sardegna per decisione del Congresso di Vienna e restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860.
I genitori avrebbero voluto avviarlo alla carriera di avvocato, medico o sacerdote, ma Giuseppe non amava gli studi, prediligendo gli esercizi fisici e la vita di mare. Egli stesso ebbe a dire che era più amico del divertimento che dello studio.[15] Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, durante le vacanze tentò di fuggire per mare verso Genova con tre suoi compagni: Cesare Parodi, Celestino Bernord e Raffaello de Andrè. Scoperto da un sacerdote che avvisò la famiglia della fuga,[17] fu fermato appena giunto alle alture di Monaco e ricondotto a casa; è forse da ricondursi a questo episodio l'inizio della sua antipatia verso il clero.
Tuttavia, si appassionò alle materie insegnategli dai suoi primi precettori, padre Giaume e il "signor Arena". Quest'ultimo, reduce delle campagne napoleoniche, gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica (rimase affascinato soprattutto dall'antica Roma). Alla fine riuscì a persuadere il padre a lasciargli intraprendere la vita di mare e venne iscritto nel registro dei mozzi a Genova il 12 novembre 1821. Dall'iscrizione in quel registro, si rileva che l'altezza del quattordicenne Garibaldi era di 39 once e 3/4, pari a circa 170 cm, considerevole in rapporto all'età e all'altezza media dell'epoca.
Anche se la datazione del primo imbarco è incerta, il 13 gennaio 1824 si imbarcò sedicenne sulla Costanza, comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che Garibaldi avrebbe in seguito descritto come il migliore capitano di mare.Nel suo primo viaggio, su di un brigantinocon bandiera russa, si spinse fino a Odessa nel mar Nero e a Taganrog nel mar d'Azov (entrambe ex colonie genovesi). Vi si recherà nuovamente nel 1833, incontrando un patriota Mazziniano che lo sensibilizzerà alla causa dell'unità d'Italia. Rientrò a Nizza in luglio.
L'11 novembre partì per un breve viaggio come mozzo di rinforzo sulla Santa Reparata, costeggiando la Francia in un equipaggio di cinque uomini.Con il padre, tra aprile e maggio del 1825, partì alla volta di Roma con tappe a LivornoPorto Longone e Fiumicino con un carico divino, per l'approvvigionamento dei pellegrini venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII. L'equipaggio era composto da 8 uomini, ed ebbe la sua prima paga.


LA VITA DA RICERCATO:
Non si ha certezza storica del primo incontro fra Garibaldi e Mazzini; quello descritto nella sua biografia mostra alcune lacune: si racconta che un certo Covi condusse il primo dal rivoluzionario in un incontro tenutosi a Marsiglia nel 1833, ma la datazione non risulta credibile in quanto il marinaio sbarcò il 17 agosto 1838 a Villefranche-sur-Mer (all'epoca Villafranca marittima) mentre Mazzini si era già trasferito, da giugno, a Ginevra. Inoltre lo stesso genovese affermò che aveva sentito di Garibaldi solo tempo dopo, nel 1834.
A quell'epoca i marinai mercantili dovevano obbligatoriamente prestare servizio per 5 anni nella marina da guerra; venivano agevolati coloro che avessero frequentato rotte che portavano all'estero, essi infatti potevano decidere quando iniziare tale periodo, in ogni caso la scelta doveva cadere prima dei quarant’anni di età. Garibaldi presentò la domanda nel mese di dicembre del 1833 diventando marinaio di terza classe.

Garibaldi è ricordato a Genova con una statua equestre situata a Piazza De Ferrari
Il 16 dicembre si presentò a Genova e il 26 si imbarcò sull'Euridice dove rimase per 38 giorni La divisa sarda nell'occasione era composta da un frac nero, una tuba, e un paio di pantaloni bianchi. Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto, un respartano che combatté contro Tebe nella Battaglia di Leuttra.
Non era ancora iscritto alla Giovine Italia. In quel periodo tenta, con Edoardo Mutru arruolatosi anch'esso, e Marco Pe di fare propaganda alla causa, e cercando a bordo e a terra di fare proseliti.
Frequenta l’osteria della Colomba, la cui proprietaria Caterina Boscovich, insieme alla cameriera Teresina Cassamiglia, gli saranno d'aiuto in seguito. Fa sfoggio della sua attività, offrendo da bere a sconosciuti con l’intento di arruolare nella causa nuovi elementi senza preoccuparsi con chi stesse parlando, e fu visto in pubblico, al caffè di Londra, usare parole dispregiative verso il Re. Per tale comportamento venne sorvegliato dalla polizia.
Il 3 febbraio 1834 fu poi imbarcato, insieme a Mutru, sulla Conte De Geneys, che stava per partire per il Brasile. Vi restò solo un giorno in quanto il 4 febbraio, fingendosi malato, scese a terra, dopo aver dormito all'Insegna della Marina con Mutru.
Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con i mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e polizia fecero fallire tutto. Garibaldi credeva che l'insurrezione si sarebbe comunque avviata; non tornò sulla nave per parteciparvi, venendo siglato il termine A.S.L. (Assentatosi Senza Licenza) sulla sua matricola, e divenendo in pratica un disertore; tale latitanza venne considerata come ammissione di colpa.
Attese un'ora in piazza prima di andarsene, trovando riparo prima a casa della fruttivendola Natalina Pozzo e successivamente all'osteria e alla casa della padrona, Caterina Boscovich. Intanto vengono arrestati il quasi omonimo Giuseppe Giribaldi (l'8 febbraio) e poi lo stesso Mutru, il 13 febbraio. Prima di allora, il 9 o l'11, lascia Genova.
Più volte nel corso della fuga sfugge ad eventuali catture, dopo aver superato il fiume Varo: la prima quando al confine venne condotto momentaneamente a Draguignan, poi in un'osteria dove canta per sfuggire agli sguardi dell'oste che minacciò di farlo arrestare. Giunse infine a Marsiglia. Intanto viene indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato.
Garibaldi divenne così un ricercato e in quel tempo visse per un breve periodo dal suo amico Giuseppe Pares. Continua sotto falso nome, assunta l'identità dell'inglese Joseph Pane, a viaggiare: il 25 luglio salperà verso il mar Nero sul brigantino francese Union raccontando di essere un ventisettenne nato a Napoli. Dovrebbe svolgere l'attività di marinaio ma sarà secondo in realtà.Sbarca il 2 marzo 1835, e in maggio fu in Tunisia. Quando tornò a Marsiglia trovò la città devastata da una grave epidemia di colera; offertosi come volontario, lavorò in un ospedale, in qualità di benevolo, e ci rimase per quindici giorni.
In quel periodo conobbe Antonio Ghiglione e Luigi Canessa. Poiché le rotte erano chiuse in parte per via del colera, Garibaldi decise di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier, nave comandata da Beauregard, assumendo la falsa identità di Giuseppe Pane e affermando di essere nato a Livorno; data la sua paga di 85 franchi, si presuppone che non svolse in mare gli incarichi di marinaio la cui paga era inferiore.

GIUSEPPE E ANITA:

Giuseppe ed Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839: si narra che, dopo averla inquadrata con il cannocchiale mentre si trovava a bordo dell' Itaparica, una volta raggiunta le disse in italiano«tu devi essere mia» Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (questo il nome completo) si era sposata il 30 agosto 1835 con il calzolaio Manuel Duarte de Aguiar, molto più anziano di lei, che, arruolatosi fra gli imperiali, era fuggito da Laguna tempo prima, ma la moglie non lo seguì. Nata nel 1821 a Merinhos, aveva 18 anni al momento dell'incontro con Garibaldi.
Garibaldi e Ana Maria de Jesus Ribeiro, passata alla storia - e quasi alla leggenda - del Risorgimento italiano con il vezzeggiativo di "Anita", si sposarono il 26 marzo 1842, presso la chiesa di San Francisco d'Assisi con rito religioso. È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare.
Cercò di far allontanare Anita e i figli da sua madre, ma il giugno 1846 ottenne un parere contrario del ministero degli esteri di Carlo Alberto, Solaro della Margarita. I legionari progettano di tornare in patria, e grazie alla raccolta organizzata fra gli altri da Stefano Antonini, Anita, con i tre figli, e altri familiari dei legionari partirono nel gennaio del 1848 su di una nave diretta a Nizza, dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di Garibaldi.

LE LEGGENDE :

Alfeo e Aretusa
La leggenda più affascinante che riguarda Siracusa è sicuramente quella della ninfa Aretusa e del suo innamorato Alfeo.
Aretusa era una ninfa del seguito di Artemide, che trascorreva le sue giornate correndo libera tra i boschi del Peloponneso, cacciando animali e raccogliendo fiori. Un giorno la vide il giovane Alfeo e se ne innamorò perdutamente. Il sentimento di Alfeo, purtroppo non era ricambiato dalla giovane ninfa, che, stanca di dovergli sempre sfuggire, si rivolse alla sua protettrice Artemide. La Dea (che doveva trovarsi momentaneamente a corto di soluzioni migliori) allora la avvolse in una spessa nube, che ricoprì la giovane di un sudore gelido che si sciolse in fonte sul lido di Ortigia.Alfeo (che doveva essere un tipo ostinato) chiese aiuto agli Dei, che lo trasformarono in un fiume che, nascendo dalla Grecia e percorrendo sotto terra tutto il Mar Jonio, sfociò nei pressi della amata Fonte, lambendone le acque con le sue.La leggenda trae origine dalla sorgente, nota come "Occhio della Zìllica", che ancora oggi sgorga in mezzo al mare, fra le acque del Porto Grande di Siracusa, nei pressi della mitica Fonte Aretusa, alle cui acque continua quotidianamente ad unire le sue.



Alla Fonte Aretusa i Siracusani sono molto legati da sempre, in quanto fin dai tempi della fondazione della città ha costituito una riserva inesauribile di acqua dolce all'interno delle mura, consentendo agli abitanti di resistere per tempi prolungati ai numerosi assedi che nel corso dei secoli sono stati loro portati.


Ciane e Anapo
La leggenda legata ai fiumi Ciane e Anapo, il cui corso si unifica nel tratto finale per riversarsi in una foce unica nel Porto Grande di Siracusa, si ricollega al mito di Persefone (Proserpina per i Romani) e del suo rapimento ad opera di Ade (Plutone).Persefone, figlia di Zeus (Giove) e di Demetra (Cerere), dea della vegetazione e dell'agricoltura, era intenta a cogliere fiori insieme ad alcune ninfe presso le rive del lago di Pergusa (vicino ad Enna). Improvvisamente, dal suo regno sotterraneo con il suo cocchio sbucò fuori Ade, innamorato della fanciulla, che, per non perdere tempo in corteggiamenti e, soprattutto, per evitare di chiedere la mano di Persefone a quel presuntuoso di suo fratello Zeus, aveva pensato bene di rapirla. Dopo un'iniziale momento di sbigottimento, tra le urla della povera Persefone ghermita dal tristo figuro, l'unica dei presenti che ebbe il coraggio di reagire fula ninfa Ciane, che si aggrappò al cocchio nel tentativo disperato (e inutile) di trattenerlo mentre stava per sprofondare nuovamente sottoterra in direzione dell'Averno.
Il dio, incollerito, la percosse col suo scettro biforcuto, trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino). Il giovane Anapo, innamorato della ninfa, vistasi improvvisamente liquefarsi la fidanzata, non trovò di meglio che imitare il dio fluviale Alfeo (v. sopra il mito di Aretusa) e fu trasformato nel fiume omonimo che ancor oggi, dopo aver ricevuto le acque del fiume Ciane, si versa nel Porto Grande.
Cosa ne fu di Persefone? Si narra che Zeus convinse il perfido fratello a trattenerla nell'Ade solo per quattro mesi all'anno (e sono quelli in cuila madre Demetra, adirata, ci manda l'inverno), mentre nei restanti otto mesi, per la gioia della sua mammina (e per nostra fortuna) Persefone ritorna sulla terra insieme ai mesi primaverili, estivi e autunnali. Oltre ad una infelice storia d'amore, c'è un'altra cosa che accomuna Aretusa (la fonte) e Ciane (il fiume): le loro sponde sono rigogliosamente adorne di piante di papiro, utilizzate ancor oggi dagli artigiani siracusani per realizzare colorati disegni sulla carta inventata dagli antichi Egizi.



La Pellegrina
La costa est della penisola della Maddalena, così chiamata per l'esistenza un tempo su di essa di una chiesetta dedicata appunto a Maria Maddalena, è anche nota dai Siracusani come 'a Piddirina, la Pellegrina.
Il nome si ricollega ad una leggenda di pescatori, secondo cui, un tempo, un giovane marinaio ed una giovane fanciulla erano soliti incontrarsi in tutte le notti di luna piena nella grotta posta in fondo alla Cala della Pillirina per amarsi appassionatamente su di un letto di alghe.
Un brutto giorno, anzi una brutta notte, la giovane si recò come sempre nella grotta per aspettare il suo bel marinaio, ma questi non si fece vedere nè allora, nè mai più (come peraltro pare sia uso frequente fra i suoi colleghi).
La giovane non si diede per vinta e da allora andò pellegrinando più e più volte nei dintorni della grotta, ma sempre invano.
I pescatori raccontano che ancora oggi, bordeggiando nei pressi della grotta nelle notti di luna piena, sia possibile vedere racchiusa in un fascio di luce lunare la povera Pellegrina, che aspetta invano il suo giovane marinaio.



Archimede
La storia di Siracusa è strettamente legata ad Archimede, il più grande matematico e fisico di tutti i tempi.
Nell'anno216 a.C., quando Archimede aveva già più di settant'anni, morì il tiranno della città, Gerone, che era suo parente. Siracusa decise allora di allearsi con i Cartaginesi (in quel periodo era in corso la seconda guerra punica) e venne pertento cinta d'assedio da un esercito romano, comandato dal console Claudio Marcello. Archimede era vecchio, e soprattutto desideroso di continuare in pace i suoi studi, ma i suoi concittadini, che conoscevano la sorprendente capacità della sua mente, si rivolsero a lui perché collaborasse alla difesa della città.
Archimede, completamente entusiasta, accettò e i romani si accorsero ben presto di che cosa fosse capace il genio siracusano, che per ben tre anni tenne in scacco l'armata di Marcello. Accadde, infatti, che un giorno l'equipaggio di una nave, che coraggiosamente si era spinta fin sotto le fortificazioni nemiche, improvvisamente vide spuntare dalle mura una specie di mostruosa e colossale tenaglia che afferrò fra due tremende braccia lo scafo, lo squassò e quasi lo demolì. Era una macchina bellica progettata da Archimede, che funzionava per mezzo di leve e pulegge, meccanismi dei quali lo scienziato era espertissimo, anzi, insuperabile.
Contemporaneamente, sulle altre navi ancorate a breve distanza dalle mura, cominciarono a cadere pesanti massi, lanciati da catapulte, che schiacciavano ponti e fiancate, spezzavano alberi, massacravano gli equipaggi.
Ma l'invenzione di Archimede che più ha colpito la fantasia popolare è quella degli "specchi ustori". La tradizione vuole, infatti, che Archimede avesse realizzato grandi specchi per mezzo dei quali, concentrando la luce dei raggi solari, riuscisse ad incendiare le navi nemiche assedianti.
La grandezza del genio di Archimede ha, peraltro, ispirato numerose leggende sulla sua vita e perfino sulla sua morte. Una delle leggende più diffuse, ad esempio, racconta che il "principio di Archimede" fu scoperto dall'eclettico scienziato mentre faceva il bagno in una vasca e che, per l'eccitazione della scoperta, egli si sia slanciato correndo nudo fuori dalla sua abitazione e gridando "Eureka!" (Ho trovato!). Sulla morte di Archimede gli storici hanno tramandato una leggenda: si dice che un soldato romano, penetrato nella sua abitazione, l'abbia trovato immerso nei suoi pensieri e che gli abbia chiesto più volte il suo nome (pare che il console Marcello avesse dato l'ordine di risparmiare la vita al grande scienziato). Solo a seguito del ripetuto silenzio di Archimede, il soldato si sarebbe deciso a trafiggerlo con la sua spada.
Anche il sito dove Archimede fu sepolto è avvolto nel mistero. Storicamente a Siracusa viene chiamata "Tomba di Archimede" una tomba monumentale scavata nella roccia all'interno del parco archeologico, ancor oggi ben visibile transitando dal Corso Gelone. Tale identificazione fu fatta in base a due elementi: un vistoso timpano che ne sovrasta l'ingresso e un'incisione trovata nello stipite e raffigurante una sfera iscritta in un cilindro.

Tale identificazione, tuttavia, non è assolutamente certa, tanto che la sfera iscritta nel cilindro sarebbe stata rinvenuta in un'altra tomba, ricadente nel cortile interno dell'Hotel Panorama, in Via Necropoli Grotticelle (peraltro non lontano dall'altra tomba).





Le fanciulle callipigie
Due fanciulle di straordinaria bellezza (per quelli che non hanno studiato il Greco, precisiamo checallipigie vuol dire "dal bel sedere"), una bruna ed una bionda, figlie di un contadino, disputavano spesso sulla loro avvenenza.
Tale contesa le coinvolgeva a tal punto che un giorno si offrirono nude allo sguardo di un giovane passante, perchè giudicasse la loro bellezza.
Il giovane non restò indifferente a tanta grazia di...Zeus, tanto da innamorarsi di una delle due e da consigliare al proprio fratello di non lasciarsi scappare l'altra.
Il saggio fratello accolse il suggerimento e tutti e quattro vissero da allora felici e contenti.
La storia è quasi idiota nella sua semplicità, ma viene qui riportata perchè il mito delle Fanciulle Callipigie è raffigurato nella sala di rappresentanza del Municipio di Siracusa come uno dei quattro legati alla nostra Città (sic).








LA PADRONA DI SIRACUSA :



Santa Lucia
Nacque a Siracusa, ma non si conosce con certezzala data. Lasua vita d'altra parte è intessuta di elementi leggendari, che stanno a testimoniare l'enorme venerazione di cui la santa ha goduto e gode.

 
La sua passio afferma che Lucia subì il martirio sotto Diocleziano, per cui si è voluto fissare la data di nascita al 283.
Secondo la passio la giovane apparteneva a una ricca famiglia siracusana, promessa sposa a un pagano.
Per una malattia della madre compì un viaggio a Catania, per visitare il sepolcro di S. Agata, sul quale pronunciò il voto di conservarela verginità. Lì, Dio le comunicò il progetto che aveva per lei: dedicare la vita ai poveri.
Lucia obbedì: lasciò il fidanzato e distribuì la sua dote ai più poveri, in giro per le case e per le catacombe, dove a quei tempi si rifugiavano i cristiani perseguitati. Secondo la leggenda, per potersi addentrare nell'oscurità delle catacombe lasciando le mani libere, portava delle candele sul capo (e così in Svezia viene rappresentata ancor oggi).
L'ex promesso sposo, preso dalla rabbia, la denunciò, accusandola di essere cristiana. Lucia fu arrestata e sottoposta a diverse torture: condotta in un lupanare, trascinata da una coppia di buoi, cosparsa di pece bollente, posta sulla brace ardente. Secondo un'altra leggenda, si strappò gli occhi con le proprie mani, senza provare alcun apparente dolore, e li consegnò al carnefice su di un piatto. Nonostante questi tremendi tormenti, solo una pugnalata alla gola da parte di un soldato potè ucciderla.
Le sue ossa non si trovano a Siracusa, perchè, trafugate dai Turchi durante le loro scorrerie (pare che questi, scaramanticamente, non disdegnassero le reliquie dei Santi cristiani), furono recuperate a Costantinopoli dai Veneziani, che le custodiscono ancor'oggi nella chiesa dedicata alla Santa, nei pressi della stazione ferroviaria che da lei prende il nome.
L'iconografia risente fortemente dell'episodio dello strappo volontario degli occhi in quanto la santa viene  raffigurata con un piatto in mano su cui sono posti gli occhi. A Siracusa il pesante fercolo d'argento della Santa, a grandezza naturale, la raffigura con un mazzo di spighe in mano, la tazza con gli occhi e un pugnale conficcato in gola.
La sua festa cade il 13 dicembre. Prima dell'introduzione del calendario moderno, il 13 dicembre era il giorno del solstizio invernale, da cui il detto "S. Lucia: il giorno più corto che ci sia". Per questa ragione la tradizione di festeggiare Santa Lucia è diffusa anche nel Nord Europa dove la sua festività preannuncia l'arrivo dei mesi di luce, dopo il lungo inverno polare.
La festa siracusana è caratterizzata da pratiche devozionali di tipo magico-esorcistico e solare- agrario. Si confezionano in questo giorno pani a forma di occhi che, benedetti, si mangiano con lo scopo di preservarsi da malattie oculari e la "cuccìa", minestra a base di frumento bollito. A lei si offrono anche ex voto d'argento a forma di occhi, che vengono appesi sulla "vara" il giorno della festa.
Santa Lucia porta i suoi doni anche a Brescia, Bergamo, Mantova, Cremona, Verona e in Trentino. Ma, come abbiamo detto, è amata e molto attesa anche in Nord Europa: Svezia, Norvegia e Danimarca. Nel Nord Italia S. Lucia arriva nelle case accompagnata da un asinello: bisogna fargli trovare sotto il camino della paglia per nutrirlo. Ma vanno bene anche mazzetti di carote alle finestre, per indicargli la strada e invogliarlo a fermarsi. Attenzione: i bambini non devono vederla, altrimenti Lei butta la cenere negli occhi, senza lasciare regali.
Il 20 dicembre, in occasione della processione per l'ottava di Santa Lucia, Siracusa ospita tradizionalmente "Lucia di Svezia", una giovane fanciulla svedese, accompagnata da due "ancelle", che in Svezia rappresenta Lucia, con il capo cinto di una corona di candele, come quelle che facevano luce alla Santa nella notte permanente delle catacombe siracusane.

ORTIGIA :


Ortigia è sicuramente il luogo più affascinante di Siracusa. Le stradine dell’isola siracusana narrano tutt’oggi le gesta e il passato di ateniesi e cartaginesi, dei greci e dei tiranni che le percorsero.
E’ stupendo fermarsi a Ortigia e ritrovarsi coinvolti in un passato medioevale e barocco. E’ come se il tempo si fosse fermato.
L’isola di Ortigia è collegata alla città grazie al Ponte Nuovo, l’unica via di accesso carrozzabile dell’isola. Alle sue spalle si estende l’Acradina con il corso Gelone, la parte moderna e commerciale. A nord ovest di Acradina si trova Neapolis, l’area nuova che ospita la città archeologica e il quartiere di Tyche che domina tutta l’Epipoli con ilcastello Eurialo.
L’isola di Ortigia nasconde una leggendaria storia d’amore dalla quale nacque laFonte Aretusa. Aretusa, ninfa di Artemide, per sfuggire all’amore di Alfeo, chiede aiuto alla dea che la fa fuggire lungo una via sotterranea. Arrivata a Ortigia, Aretusa si trasforma in fonte. Alfeo, trasformatosi in fiume sotterraneo, raggiunge Ortigia e mescola le sue acque con quelle di Aretusa.
Chi volesse passare una giornata a Ortigia non può farsi mancare una passeggiata lungo via della Maestranza, una delle strade più antiche dell’isola fiancheggiata da nobili abitazioni, e lungo via Vittorio Veneto, un tempo l’arteria principale di Ortigia.







AUGUSTA:

La città fu fondata nei pressi del sito dell'antica città dorica di Megara Hyblaea dall'imperatore Federico II di Svevia, che la fondò nel 1232, sfruttando la deportazione dei cittadini di Centuripe e Montalbano Elicona, città che sono state distrutte a causa della loro disaffezione. Federico la chiamò "Augusta Veneranda", e divenne una delle sue località preferite. La città fu ricostruita dopo il terremoto del Val di Noto del 1693. Nel 1861 Augusta (scritto anche Agosta) divenne parte del Regno d'Italia. Nella seconda guerra mondiale fu uno dei porti di sbarco delle forze anglo-americane.La presenza di vita sulla penisoletta di Augusta è possibile già dalla preistoria, limitata sempre ad un piccolo villaggio. Si parla di Augusta come città solamente dopo il 1232, possibile data di fondazione della città da parte di Federico II di Svevia. Egli per indicare la sua autorità sugli abitanti (si dice deportati da Montalbano e Centuripe) costruì un grosso castello su un promontorio di circa 30 m nella parte nord. Alla morte dell'ultimo imperatore svevo, Augusta, sede di un castello, venne occupata dagli Angioini. Gli abitanti combatterono nei Vespri siciliani e già nel 1282 sul castello sventolava la bandiera Aragonese, dominio che durerà per quattro secoli.
Nel 1326 Augusta divenne feudale sotto il possesso di Guglielmo Raimondo II Moncada, il primo dei ventiquattro conti del territorio di Augusta. Passati due secoli come città feudale, Augusta tornò al demanio nel 1560, dopo che il re, viste l'insufficiente difesa che i conti avevano provveduto durante le invasioni turche del 155115521553 e 1560, decise di provvedere personalmente alla difesa della città. Avvennero infatti tutte dopo il 1560 i primi interventi di fortificazione: dal taglio dell'istmo alla costruzione di bastioni e dei forti Garcia, Vittoria e Avalos. Ma nonostante ciò i turchi continuarono ad attaccare, e nel 1594 avvenne il miracolo. San Domenico, particolarmente venerato nella città perché fu il primo ordine religioso ad arrivare, apparve in cielo e mise fuga i turchi. Questo dice la leggenda; in verità molto probabilmente si trattava di domenicani, che già anni prima vennero autorizzati a tenere armi per difesa.
Il XVII secolo si rivela fiorente per Augusta anche per l'arrivo dell'ordine dei Cavalieri di Malta che qui costruirono un grande forno per la produzione di biscotti intorno la metà del secolo. Nel 1675 il porto fu campo della Battaglia d'Agosta tra spagnoli e francesi, che vide la vittoria di quest'ultimi che però abbandonarono pochi anni dopo il castello. Ma il 9 e l'11 gennaio del 1693 la città venne rasa al suolo dal terremoto. Nonostante ciò in pochissimi anni la città si risollevò e venne pure elevata alla dignità senatoria. Dopo ciò Augusta iniziò un lento declino, dal passaggio ai Borboni fino all'unità d'Italia, e concludere con la costruzione nel 1890 del penitenziario sull'antico castello fridericiano.
Ma agli inizi del Novecento per la collocazione strategica del porto poco fuori la città nel 1918 venne costruito un enorme hangar per dirigibili in cemento armato. E poi sulla costa al di sotto dell'hangar, prima della seconda guerra mondiale, un idroscalo. Nel 1943 subì un bombardamento che causò molti morti.
Ma Augusta si risollevò anche grazie all'istallazione nel 1949 della prima raffineria petrolifera. Dopo pochi anni la costruzione venne seguita da molte altre per arrivare alla selvaggia industrializzazione della costa megarese negli anni ottanta del XX secolo. Ancora ora molta dell'economia di Augusta, in passato fondata sulla pesca, sull'agricoltura e sulla produzione di sale dalle grandi saline, è basata sulle industrie petrolchimiche.

LE SUE LEGGENDE:
Le leggende popolari diffuse ad Augusta sono numerose ma non tutte sono esplicitamente legate alla devozione religiosa dei suoi abitanti, come nel caso dell’anima di Tulè, dei “lupinari”, di “fimmina motta” o del cavallo senza testa. Si può azzardare anzi che certe leggende siano nate come espedienti escogitati per non far uscire la gente di casa nelle ore notturne al fine di mascherare delle tresche o dei traffici illeciti, o come artifici per svalutare il valore di una casa.
Tra le leggende in cui il carattere profano si unisce a quello sacro, sebbene nelle tinte di una religiosità ingenua tipica del popolino, vanno annoverate quella della “rutta o’ monucu”.
Si riteneva che in una grotta di Punta Izzo, ancora conosciuta col nome “rutta o’monucu” ci fosse la stata di un eremita vissuto lì, recante al petto l’incisione: “dove io guardo, c’è un tesoro”. La leggenda vuole inoltre che vi fosse un collegamento tra questa grotta ed un’altra situata presso Cozzo del Monaco, alla foce del fiume Mulinello. Sebbene questo collegamento risulti assolutamente improbabile, su Cozzo del Monaco esiste una piccola catacomba che nella fantasia popolare è forse passata alla memoria come una lunghissima grotta.
Un’altra leggenda racconta che un povero pescatore, durante una lunga notte in barca, rinvenne un Crocifisso nei pressi della secca dove fu edificato il Forte Garcia. In quel luogo, divenuto ben presto meta di pellegrinaggi, venne innalzato un altare e poi una chiesetta e la cittadinanza festeggiava solennemente ogni 14 settembre la festa del Ss. Crocifisso in memoria del ritrovamento fatto nel porto di Augusta.
Numerose leggende sono legate alla stupenda chiesetta dell’Adonai, situata a Brucoli in contrada Gisira. Secondo la tradizione essa sarebbe antichissima e per molto tempo se ne sarebbe perso il ricordo. Un giorno un umile pastorello, nel tentativo di liberare la zampa di una delle sue mucche rimasta incastrata nel terreno, la rinvenne casualmente, e con essa anche la bellissima immagine dipinta sulla parete di fondo della grotta, raffigurante la Madonna col Bambino.
L’antica chiesetta rurale di S. Elena, situata un tempo nei pressi del faro S. Croce, è legata ad un’antica leggenda secondo cui Elena, madre dell’Imperatore Costantino, durante il viaggio di ritorno dalla Terrasanta fu sorpresa da un temporale. Ella portava con se le preziose reliquie della Croce e temendo per la sua vita cercò rifugio nel vicino promontorio che oggi porta il suo nome. In segno di ringraziamento verso quel luogo, dispose la costruzione di una chiesetta dedicandola alla Santa Croce. Tale avvenimento viene commemorato annualmente il 18 agosto.
Altre leggende, molto attestate ad augusta, assolvevano anche ad una precisa funzione pedagogica. Ad esempio si riteneva che “a sarramonica” dimorasse nei pozzi, con l’ovvia conseguenza di impaurire i bambini ed allontanarli dai pozzi per ovvi motivi di sicurezza. Questa creatura misteriosa faceva la sua comparsa solitamente la quarta domenica di Quaresima. Ella girava per la strade cittadine con in mano una falce ed un paniere, ed era consuetudine regalarle delle uova.


LA LEGGENDA DI SANTA AUGUSTA:
Sicuramente molti di voi conosceranno il Santuario di Santa Augusta a Vittorio Veneto, ma conoscete anche la storia di questo posto e della Santa dalla quale prende il nome? Con l’avvicinarsi del 22 agosto, uno dei giorni in cui viene ricordata Santa Augusta, mi piacerebbe proporvi la leggenda che la riguarda.

santa augusta serravalleTutto ha inizio agli albori del V secolo, con l’invasione dei territori delle Venezie da parte dei visigoti venuti dalla Germania sotto il comando del re Alderico, il quale, per garantirsi il controllo sulle terre della marca, pose dei capi in sua rappresentanza cosparsi per i nuovi domini. Tra questi nobili generali c’era anche Matrucco, insidiato dal re in un forte sul monte Mercatone situato nell’attuale località di Serravalle. In breve tempo Matrucco impose la sua personalità arida e dispotica, con particolare avversione verso i credenti cristiani.
festa santa augustaPassarono alcuni anni e Matrucco estese ulteriormente il suo podere, conquistando ulteriori territori verso il Friuli ed autoproclamandosi così re assoluto ed indiscusso di quelle terre. Nel frattempo il novello sovrano prese moglie, la quale non tardò a rimanere incinta di un erede. La gravidanza non fu semplice fin dall’inizio, causando alla regina dolori e sintomi terribili che la costrinsero a trasferirsi a Piai, nella località di Fregona, presso un palazzo di un amico intimo di Matrucco, dove la donna avrebbe potuto riposare tra i migliori agi e le cure mediche. Nonostante questo la situazione non migliorò e la sovrana morì di parto dopo aver dato alla luce una splendida bambina che Matrucco decise di chiamare Augusta in segno di buon augurio per la sua vita e per il regno.
sagra santa augustaMalgrado l’ateismo del padre e la totale repulsione per la religione cristiana,Augusta venne battezzata in segreto da un prete eremita con la speranza che lo Spirito Santo potesse infonderle la capacità di dissipare i miti pagani e di assecondare, anche verso il padre, il libero culto della fede cristiana. E così fu, la bimba crebbe nella fede e nell’insegnamento del Vangelo, della preghiera e dell’aiuto verso il prossimo. Le premure di Augusta erano rivolte principalmente a tutti i sudditi cristiani del piccolo regno, che il padre faceva torturare nel tentativo di sradicare completamente il credo religioso tra la gente dei suoi domini. Quando Matrucco venne a conoscenza della devozione della figlia per la fede cristiana, la fece rinchiudere nelle prigioni sperando che la punizione fosse sufficiente a farla rinsavire, ma non fu così.
foghi santa augustaAugusta continuò a prodigarsi verso i poveri e i bisognosi, ma soprattutto continuò imperterrita a difendere il suo credo. CosìMatrucco cominciò a farla torturare periodicamente facendole strappare i denti e picchiandola, ma ancora non fu sufficiente a smuovere la ragazza. Così il crudele sovrano si vide costretto ad ucciderla, ma nemmeno questo diede alcun risultato, Augusta infatti sopravvisse miracolosamente dopo essere stata buttata giù dal monte Matrone legata ad una ruota chiodata così come ad un rogo.
fuochi di santa augustaAllora il padre non ebbe altra scelta chefarle tagliare la testa. Da quel momento e dopo questi eventi straordinari, iniziò il culto di Augusta, che venne martirizzata e proclamata Santa nel 1754 da Papa Benedetto XIV. Oggi Sanata Augusta è, insieme a San Tiziano, la patrona di Vittorio Veneto;  nel luogo in cui venne uccisa, il Monte Matrone,  sorge un santuario dedicato a lei, nel quale sono custodite le sue reliquie e  meta di pellegrinaggio di molti fedeli. Nel calendario questa Santa viene ricordata in due giorni, il 27 marzo ed il 22 agosto appunto, data quest’ultima in cui ha luogo lo spettacolare evento dei fuochi d’artificio di Santa Augusta che nei primi momenti della mezzanotte rischiarano ed illuminano a festa la notte vittoriese. Per vedere il programma completo della manifestazione c’è il sito dedicato. Per chi volesse scoprire i luoghi di Santa Augusta ci sono due visite guidate: domenica 19 alle 10 art trekking, un itinerario guidato sul colle (costo 10€) elunedì 20 alle 16.30 da Piazza Flaminio parte la visita “Antichi palazzi, oscuri androni, fastosi salotti”.

AVOLA:
Àvola (Raula, Raila, Aula, Avula in siciliano; anticamente chiamata Àbola) è un comune italiano di 31.817 abitanti della provincia di Siracusa inSicilia. A pianta esagonale, si affaccia sulla costa ionica della Sicilia Orientale nel Golfo di Noto.Secondo taluni, l'origine della città si fa risalire alla Hybla maggiore (Hybla major) sita in prossimità della costa sud-orientale della Sicilia. La zona, abitata precedentemente dai Sicani, fu invasa dai Siculi e divenne teatro di lotte per il predominio sulla regione.
Il termine Hybla non è greco ma pre-ellenico, probabilmente sicano, ed è il nome di una Dea adorata da entrambe le popolazioni (identificata poi con l'Afrodite ellenica).
I Siculi combatterono gli indigeni e si insediarono definitivamente sul territorio a cavallo fra il XIII e il XII secolo a.C. Dell'epoca dei Siculi sono testimonianza i numerosi reperti, soprattutto vasellame e stoviglie, rinvenuti in alcune tombe in quella che è oggi la Riserva naturale orientata Cavagrande del Cassibile.
Successivamente i Greci colonizzarono la zona intorno alla metà dell'VIII secolo a.C. trovando una civiltà già influenzata e raffinatasi a contatto con i Fenici.
Durante la Guerra del Peloponneso, il territorio conobbe la dominazione del tiranno Dionisio I di Siracusa. Nel III secolo a.C., a seguito dellaPrima guerra punica, il predominio greco-cartaginese passò ai Romani che costituirono la provincia di Sicilia (227 a.C.), pur lasciando un'ampia autonomia a Siracusa e a tutti i possedimenti di questa città nella parte sudorientale dell'isola, fra cui anche la zona di Hybla Major. La soppressione delle istituzioni statuali siracusane nel corso della seconda guerra punica, vide l'occupazione militare romana di tutta la Sicilia sud orientale attorno alla metà del penultimo decennio del III secolo a.C. (definitiva dopo la caduta di Siracusa nel 212 a.C.).
Con la dominazione romana, protrattasi fino al 450 circa, tutto il territorio perse il suo antico splendore. A seguito delle devastazioni e dei saccheggi operati dai Vandali che occuparono l'intera Sicilia attorno alla metà del V secolo, venne cancellato persino il ricordo di Hybla major e la zona si tramutò in una landa semideserta. Tale situazione si protrasse durante la dominazione ostrogota (V-VI secolo) e bizantina (VI-IX secolo). In epoca araba (IX-XI secolo) il territorio si andò progressivamente ripopolando ma un modestissimo borgo, sul luogo di Avola vecchia, nacque con ogni probabilità solo durante la dominazione normanna o sveva (XI-XIII secolo).


NOTO:
È il primo comune siciliano e il quarto italiano per estensione territoriale (550 km2).
Nel 2002 il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con il Val di Noto.Ed è definita da molti la capitale mondiale del "barocco"Noto dista 31 km da Siracusa ed è situata nella parte sud ovest della provincia ai piedi dei monti Iblei. La sua costa, fra Avola e Pachino, dà il nome all'omonimo golfo. Con i suoi 550,86 km² di superficie, il comune di Noto occupa oltre un quarto della Provincia di Siracusa ed è il più grande comune della Sicilia e il quarto d'Italia. Nel suo territorio scorrono due fiumi: il Tellaro, vicino al quale è stata rinvenuta una villa romana, chiamata appunto Villa del Tellaro, e l'Asinaro, alla cui foce, in contrada Calabernardo, si svolse la famosa battaglia tra Ateniesi e Siracusani, che si concluse con la sconfitta dei primi, segnando la disfatta della spedizione ateniese in Sicilia e l'inizio del declino di Atene, che di lì a poco, a seguito di questa sconfitta, avrebbe perso anche la guerra all'interno della quale si inseriva la spedizione in Sicilia contro Siracusa, la Guerra del Peloponneso.


 

PERIODO ANTICO:


Il sito originario della città, Noto antica, si trova 8 km più a nord, sul monte Alveria. Qui si ritrovano i primi insediamenti umani, che risalgono all'età del Bronzo Antico o Castellucciana (2200 - 1450 a.C.), come testimoniato dai reperti archeologici rinvenuti. Secondo un'antica leggenda,Neas, che sarebbe stato il nome della Noto più antica, avrebbe dato i natali al condottiero siculo Ducezio, che nel V secolo a.C. avrebbe difeso la città dalle incursioni greche. Questi la trasferì dall'altura della Mendola al vicino monte Alveria, circondato da profonde valli, in una delle quali scorre la fiumara di Noto. Ben presto Neas o Neaton, ormai ellenizzata nei costumi, entrò a far parte della sfera d'influenza siracusana.
Secondo Polibio e Tito LivioNeaton fu una colonia siracusana durante il regno di Gerone II, riconosciuta nel 263 a.C. dai Romani con un trattato di pace. Il Ginnasio, le mura megalitiche e gli Heroa ellenistici convalidano le ipotesi degli storici.
Nel 214 a.C. circa Neaton aprì le sue porte all'esercito del console romano Marco Claudio Marcello, e venne così riconosciuta come città alleata dai Romani (che la chiamavano Netum) come Taormina e Messina. Subì, come le altre città isolane, le vessazioni di Verre, descritte da Marco Tullio Cicerone.

LA CATTDRALE DI NOTO:


La cattedrale di San Nicolò è il luogo di culto cattolico più importante di Noto, in Siciliachiesa madre dell'omonima diocesi.L'edificazione della grandiosa basilica barocca ebbe inizio nei primi anni del Settecento, a seguito della ricostruzione post sisma del 1693. La facciata, la cui composizione va comparata con la parrocchiale di Versailles e le incisioni della chiesa di Saint Roch a Parigi, venne iniziata alla fine del 1767 (su un campanile è riportata la data 1768) su un progetto di Rosario Gagliardi del 1740 circa. Il lasso di tempo intercorso tra progetto, costruzione e completamento (sotto il controllo di Bernardo Labisi alla fine del Settecento) giustifica le differenze con i modelli del Gagliardi (e con la scenografia K), l'eclettismo e la tendenziale aspirazione neoclassicista. Evidenti sono infatti le incongruenze linguistiche tra i diversi elementi della composizione. Per esempio nella sopraelevazione dei campanili le paraste non sono ripetute come alla base, mentre i timpani arricciati indicano un'influenza del Settecento catanese. Le porte principali sono inoltre di ispirazione neocinquecentesca (tratte daVignola o Domenico Fontana). Il finestrone centrale con "orecchie" e timpano curvilineo è ripreso invece dal repertorio di Andrea Pozzo ed è vicino ad alcune realizzazioni netine di Francesco Paolo Labisi (Chiesa del Carmine). Il prezioso monumento fu quindi ultimato nel 1776, anche se nel secolo successivo fu ricostruita la cupola, in stile neoclassico con tracce neobarocche, per sostituirne altre due crollate a causa dei terremoti. Nel secolo scorso, intorno agli anni cinquanta, furono apportati vari rifacimenti e modifiche nell'apparato decorativo, non sempre ben riusciti, come il trompe-l'oeil delle strutture verticali e la decorazione a tempera delle volte da parte dei pittori Arduino e Baldinelli, le radicali modifiche dell'altare maggiore e dell'antico organo e inoltre la sostituzione dell'originaria copertura a falde della navata centrale con un pesante solaio latero-cementizio che probabilmente fu una delle cause principali del crollo del 1996.


IL CROLLO:


In seguito al terremoto del 13 dicembre 1990 la chiesa subì alcuni danni strutturali e già allora si pensò di chiuderla al culto e di sottoporla a restauri. Tuttavia non si fece in tempo a prendere tali provvedimenti. La sera del 13 marzo del 1996, a causa di un grave difetto costruttivo (mai notato in precedenza) dei pilastri della navata centrale (riempiti "a sacco" con sassi di fiume anziché con conci in pietra squadrati), il primo dei piloni di destra che fa da sostegno alla cupola "per schiacciamento" rovinò al suolo, trascinando con sé nel crollo la cupola stessa e per effetto domino l'intera navata destra, la navata centrale e il transetto destro lasciando miracolosamente in piedi solo una piccola parte del tamburo. Fortunatamente non vi furono vittime, poiché a quell'ora la chiesa non era aperta al pubblico.
Dopo il devastante crollo, quel che un tempo era stato il gioiello più splendido di Noto sembrava inesorabilmente perduto. Nel gennaio del 2000, dopo una prima fase di sgombero delle macerie, hanno avuto inizio i lavori di ricostruzione e di restauro, eseguiti da maestranze locali, addestrate per l'occasione nell'utilizzo della pietra calcarea e delle tecnologie antiche. Inizialmente sono stati riedificati con conci squadrati in pietra e senza alcun uso del calcestruzzo armato i nuovi pilastri di destra, che conservano la forma e le fattezze di quelli originari, ma senza il difetto costruttivo che aveva causato il crollo della basilica. Quindi si è passati alla demolizione e alla successiva ricostruzione dei pilastri della navata sinistra, che riportavano le stesse gravi imperfezioni di quelli crollati. Successivamente sono ritornate all'antico splendore la navata centrale, la navata destra, i cupolini di destra, i contrafforti, gli archi trasversali e longitudinali. Ultimo capitolo della ricostruzione della Cattedrale è stato l'elevazione della nuova cupola, pressoché identica all'originale: da essa differisce solo per piccole correzioni, come l'ispessimento di pochi millimetri della base del tamburo. La nuova struttura di copertura della chiesa non è di tipo latero-cementizio (come il solaio crollato risalente agli anni cinquanta), ma è stata ricostruita come era originariamente con capriate in legno e manto in coppi siciliani, mentre le volte sono realizzate con il tradizionale incannucciato e gesso. Una volta completati i lavori di ricostruzione in muratura, sono stati ripristinati infine gli apparati decorativi in stucco, come capitelli, trabeazione e cornici.
La ricostruzione è stata dunque eseguita con gli stessi materiali e con le tecniche del Settecento, all'interno di un cantiere in cui si è coniugato tradizione e innovazione. Sono state utilizzate pietre locali come la pietra calcarea bianca per le strutture verticali, l'arenaria per le strutture archivoltate e la pietra di Modica per la pavimentazione, assemblate però con moderni metodi antisismici. Proprio per migliorare la resistenza ai forti terremoti si è fatto ricorso infatti a materiali come la fibra di carbonio.




LA LEGGENDA DI COLAPESCE:

La leggenda narra di un giovane messinese di nome Nicola, figlio di un abile pescatore. La sua abilità e scioltezza in aqcua insieme al diminuitivo del nome Nicola ---> cola, hanno fatto si che rimanesse noto come Colapesce.

Era un maestro del nuoto ed un grande sommozzatore, ogni volta che risaliva dagli abisso del mare, raccontava agli altri cosa i suoi occhi ebbero la fortuna di vedere e spesso trovava pure dei tesori, nascosti tra gli anfratti spigoli delle profondità marine.

La sua fama fece presto il giro dell'isola, fino a giungere alle orecchie di Federico II.
Il Re aveva spesso udito il nome di questo giovinetto, come prode ed abile cavaliere del mare, cosi volle metterlo alla prova. Cosi salirono a bordo di una nave e si spinsero verso il mare aperto, il Re gettò prima in acqua una coppa, e subito Colapesce la recuperò, poi fu la volta della sua corona, ma in un mare ancora più profondo, poi quasi stizzito dall'abilità di Nicola, scaglio in mare il suo anello, in un fondale profondo centinaia di metri, purtroppo Colapesce, tuffatosi per riprenderlo, non riemerse più.

Curiosità della leggenda. Colapesce quando si tuffò per recuperare il prezioso anello del Re, vide tra le profondità del mare che la Sicilia poggiava su tre diverse colonne, una delle quali però era stata erosa dal potente fuoco dell'Etna, perciò prese la decisione di rimanere negli abissi per sostituirsi alla colonna consumata dal fuoco. Quindi ancora oggi Colapesce sorregge la Sicilia.

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