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mercoledì 13 marzo 2013

PALERMO E LE SUE GESTA


Palermo fu fondata dai Fenici con il nome Zyz. Fino a quel momento l'area era stata un emporio commerciale e base d'appoggio per la Sicilia nord-occidentale. Zyz (la "z" va pronunciata come "s" sonora) (che in fenicio significa il fiore): il nome non è ancora accertato, ma molte monete provenienti da Palermo di periodo punico portavano la dicitura Zyz e visto che Palermo era una delle tre città puniche della Sicilia (Tucidide, VI, 1-5) molto probabilmente aveva una propria zecca. Il nome sembrerebbe derivare dalla conformazione della città che tagliata da due fiumi ricordava il profilo di un fiore.
Acquisita una certa importanza commerciale grazie alla sua posizione ma soprattutto ai due fiumi (il Kemonia ed il Papireto), divenne meta ambita per iGreci che popolavano la parte orientale della Sicilia, che, tuttavia, non riuscirono mai a conquistare. Panormos (dal Greco παν-όρμοςtutto-porto) così iGreci chiamavano Palermo così perché i due fiumi che la circondavano (il Kemonia e il Papireto) creavano un enorme approdo naturale. Questo nome andò diffondendosi grazie al rafforzamento dell'influenza greca sull'isola.

LE GUERRE PUNICHE:
La città rimase sotto il controllo fenicio fino alla Prima guerra punica (264-241 a.C.), a seguito della quale la Sicilia venne conquistata dai Romani. In particolare Palermo fu al centro di uno dei principali scontri fra Cartaginesi e Romani, finché nel 254 a.C. la flotta romana assediò la città, costringendola alla resa e rendendo schiava la popolazione che venne costretta al tributo di guerra per riscattare la libertà. Asdrubale tentò di recuperare la città ma venne sconfitto da Metello, il console romano. Un ennesimo tentativo per recuperarla venne fatto da Amilcare nel 247 a.C. che il suo esercito non abbandonarono l'area e si insediarono alle pendici di Monte Pellegrino (all'epoca chiamato Erecta) tentando in più occasioni di riprenderne il comando, ma la città era ormai fedele a Roma dalla quale ottenne i titoli di Pretura, l'Aquila d'oro e il diritto di battere moneta, restando una delle cinque città libere dell'isola, per questo motivo i cartaginesi rimasti dovettero abbandonare definitivamente il territorio palermitano.
Il periodo romano è stato di tranquillità e la città faceva parte della provincia di Siracusa, con la successiva divisione dell'Impero la Sicilia, e con essa Palermo, furono attribuite all'Impero Romano d'Occidente.

INVASIONI BARBARICHE E BIZANTINE:
Testimonianza dell'agiatezza e dello splendore della romana “Panormus” sono edifici dell'epoca della zona di Piazza Vittoria fra cui il teatro esistente fino al tempo dei Normanni e mosaici scoperti nel 1868 in Piazza della Vittoria. In epoca imperiale fu colonia romana – come ci narra Strabone – ed era ancora il granaio di Roma, ma risentì della decadenza dopo Vespasiano, subendo le invasioni barbariche dal 445, con Genserico, re dei Vandali che mise a ferro e fuoco la città, fino al dominio di OdoacreTeodorico capo degli Ostrogoti.
Nel 535 Belisario espugnò con la sua flotta navale Palermo, sottraendola agli Ostrogoti; iniziava così il periodo bizantino che si protrasse fino all'830 quando gli Arabi, sbarcati a Marsala quattro anni prima, ne fecero la capitale del loro regno in Sicilia



I NORMANNI:
Il periodo di massimo splendore di Palermo continuò con i Normanni (in particolare con Ruggero II e con lo svevo Federico II), i quali seppero raccogliere e utilizzare l'eredità culturale araba, greca e romana. Alla morte di Federico II fa seguito un lungo periodo di instabilità culminata con la rivolta antifrancese del Vespro (1282). Palermo si separa da Napoli e offre la corona di Sicilia a Federico III d'Aragona.
Normanni ripristinarono il culto cristiano, dichiarando la città capitale dell'isola e nel 1130 Ruggero II d'Altavilla cingeva la corona di Re di Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione del catasto secondo una moderna concezione. Gli edifici più importanti della città ancora oggi ne dimostrano la civiltà, come la chiesa della Martorana e la Cappella Palatina, e il geografo arabo Edrisi, nel libro dedicato a re Ruggero, ci ha lasciato la testimonianza di questo magnifico periodo di fasti e ricchezza.
Ai due Ruggero successero Guglielmo I (detto il Malo) e Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono d'opporsi alle mire dell'imperatore Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia.


GLI SVEVI:
Un matrimonio di stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore tedesco, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, nel 1185, tentò un accordo pacifico, ma aprì solo la strada alla conquista Sveva e nel 1194 Palermo veniva conquistata dal sovrano tedesco. Aveva così inizio la nuova dinastia degli Svevi in Sicilia che con Federico II, figlio di Costanza I raggiunse il massimo dello splendore. Palermo e la corte divennero il centro dell'Impero, comprendente le terre della Puglia e dell'Italia meridionale. A Palermo nacque la "Scuola poetica siciliana" con la prima poesia italiana; e politicamente il sovrano chiamato "Stupor mundi" (meraviglia del mondo) anticipò – come scrive Santi Correnti – "la figura del principe rinascimentale", anche con le cosiddetteCostituzioni Melfitane (1231). Il suo regno fu tuttavia caratterizzato dalle lotte contro il Papato e i Comuni italiani, nelle quali riportò vittorie o cedette a compromessi, organizzando la quarta crociata e dotando l'isola e il meridione di castelli e fortificazioni. Volle essere sepolto nella cattedrale di Palermo, quando nel 1250 si concluse improvvisamente la sua vita, conseguentemente scatenando le lotte di successione in cui Manfredi, figlio naturale diFederico II, venne sconfitto a Benevento nel 1266 da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia.



GLI ANGIOINI:
Carlo d'Angiò dava inizio alla dominazione angioina che sarebbe durata fino al 1282. Carlo e i suoi funzionari cercarono di sfruttare con tasse e tributi la Sicilia, mentre frattanto la capitale veniva spostata a Napoli. Il malcontento dei Siciliani culminò nella rivolta del Vespro, il 31 marzo 1282, quando dinanzi alla chiesa del Santo Spirito – si dice – esplose la reazione popolare in seguito all'offesa fatta da un certo Drouet ad una donna palermitana. Tale avvenimento fu l'occasione per cacciare gli odiati Angioini, mentre veniva inviato ad assumere la corona del Regno Pietro III d'Aragona. Cominciò una guerra che sarebbe durata novant'anni in tre fasi distinte concluse rispettivamente con la pace di Caltabellotta nel 1302, la pace di Catania nel 1347ed infine con il Trattato di Avignone 1372.

GLI ARAGONESI:
Palermo passò da un sovrano all'altro della dinastia aragonese: Giacomo IIFederico III di Aragona e l'isola fu lacerata dalle rivalità fra le famiglie nobili come i Ventimiglia, gli Alagona e i Chiaramonte, i quali si contendevano il potere nelle terre occidentali della Sicilia. Tracce artistiche del periodo aragonese troviamo in Palermo in alcuni palazzi sontuosi come lo Steri e Palazzo Sclafani di stile chiaramontano, mentre i commerci con Genova e con la Spagna fiorirono con lo scambio di materie prime e prodotti artigianali.


LA DOMINAZIONE SPAGNOLA:
Nel 1494, alla morte di re Martino, la Sicilia venne annessa alla Spagna e Palermo diventava sede dei Viceré, i governatori a cui veniva affidato il potere nell'isola da condividere con i baroni. Furono espulsi gli ebrei, istituito il Sant'Uffizio, e crebbero i privilegi nobiliari. Tuttavia la città vide rilanciare l'attività artistica e la costruzione di sontuosi edifici pubblici come la chiesa di San Giuseppe, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo e il nuovo assetto scenografico di Porta Nuova, pur frutto di pesanti tasse. Dopo Ferdinando d'Aragona la corona di Sicilia passò a Carlo V, della dinastia degli Asburgo, e, alla sua morte, al ramo principale degli Asburgo, quello di Spagna, con Filippo II suo figlio, che esercitò il potere da lontano mediante dei viceré, spalleggiati dalla nobiltà locale, poderosa e, non di rado, prepotente. La città s'arricchì però, ad uso soprattutto delle classi nobiliari, dell'apertura di via Maqueda, della scenografia dei Quattro Canti, con statue innalzate ai sovrani come quella a Carlo V in Piazza Bologna, di mura robuste e bastioni per la difesa del territorio. Ecco cosa scrisse lo scrittore Albert Jouvin proprio durante il periodo spagnolo:
« Palermo non è convenevolmente paragonabile ad altra città che a Napoli, non soltanto perché è un'importante porto marittimo, sede di Arcivescovado, capitale di un Regno e residenza di un Viceré, ma anche perché deve essere annoverata tra le città più belle e le più grandi, ed è poste in un sito tra i più gradevoli di tutta l'Italia: essa sorge infatti nel bel mezzo di una campagna fertile, estesa per diverse miglia e circondata da colline ridenti sulle quali si trova la maggior parte delle splendide case di villeggiatura, dimore stagionali dei cittadini nobili e loro delizia in quanto godono della veduta del mare e dei più bei giardini d'Italia. In una parola non si può immaginare niente di più amabile, di più incantevole di questo luogo, di più dolce della sua aria; niente di simile alla grandiosità e alla magnificenza dei suoi palazzi, di più delizioso delle sue fontane e dei suoi giardini. Passeggiando per la città l'abbiamo ammirata di continuo notando la lunghezza delle sue strade tracciate in linea retta, che presentano una prospettiva infinita, tanto più godibile in quanto compresa tra due file di case veramente belle,tali da offrire non poco di letto a chi cammina tra esse. Quella del Cassaro è la più importante, sia per la sua lunghezza e per la sua larghezza, sia perché attraversa d'un punto all'altro la città che essa divide in due parti uguali. »


I BORBONI:

Coinvolta nelle guerre europee tra FranciaAustria e Spagna, nel 1713 col trattato di Utrecht la Sicilia passava a Vittorio Amedeo II di Savoia per breve tempo, finché dal 1734 ritornavano i Borbone con Carlo III che scelse Palermo per la sua incoronazione del come re di Sicilia e re di Napoli. Sotto questo monarca la città vide crescere e sviluppare l'edilizia, l'industria, il commercio in modo fiorente.
A lui successe il figlio Ferdinando, non molto gradito dai palermitani, ma nel 1798 gli eventi della Rivoluzione francese costrinsero il sovrano a rifugiarsi a Palermo. Nel 1816 cancella il parlamento palermitano ed il Regno di Sicilia, dando vita all'originale Regno delle Due Sicilie.
Negli anni seguenti a causa di questo torto dal 1820 al 1848 la Sicilia venne coinvolta nei moti rivoluzionari che videro nel 12 gennaio del 1848un'insurrezione popolare capeggiata da Giuseppe La Masa che proclamava la riapertura del soppresso parlamento e la monarchia costituzionale con comitati presieduti da Ruggero Settimo che fu il presidente del nuovo regno che durò sedici mesi. Ma i Borboni ripresero il potere bombardando le città siciliane (re Ferdinando IV fu detto perciò “Re Bomba”) che avrebbero mantenuto fino allo sbarco di Garibaldi.Costui nel 1860, con la Spedizione dei Mille preparata dalla rivolta della Gancia del 4 aprile di Francesco Riso, entrava trionfante a Palermo da via porta Termini il 27 maggio, dopo aver assunto la dittatura dell'isola col proclama di Salemi, chiamato a liberare la Sicilia dai Borboni da Rosolino Pilo. Dopo le battaglie vittoriose nell'isola col plebiscito del 1860, la Sicilia sceglieva l'annessione all'Italia, che si sarebbe costituita in regno nel 1861. La Palermo di quegli anni viene esemplificata perfettamente da un testo dello studioso francese René Bazin:
« Ha proprio l'aria di una capitale, di vecchia città sovrana, questa Palermo bianca, circondata da aranci. Davanti a sé ha una delle più belle baglie del mondo, largamente aperta, limitata da due montagne la cui cresta è magnifica al di sopra del mare azzurro. Dietro un semicerchio di verdura cupa, un immenso orto di agrumi dove splende qua e là il biancore di una casa di ricchi, e che presto si restringe, forma una valle e sale come un nastro svolgentesi in mezzo a cime senza alberi. È la Conca d'Oro. Nell'interno, due grandi strade che si tagliano ad angolo retto, la via Maqueda e il corso Vittorio Emanuele, dividono interamente Palermo e tracciano sulla città il segno della croce così come la ordinarono i suoi pii costruttori d un tempo. I monumenti sono ovunque: appartengono a tutte le età, raccontano ciascuno il paesaggio, e l'umore sontuoso, poetico o guerriero, e l'anima così diversa delle razze che si sono succedute nell'isola. Poiché ha molto spesso cambiato padrone, la Sicilia non ne ha amato nessuno, forse ha sempre avuto in fondo al cuore un sogno deluso di libertà. Essi, al contrario, l'hanno abbellita e ornata a piacere: SaraceniNormanniSpagnoli. I Normanni soprattutto sono stati dei grandi costruttori; avevano portato con loro il Gotico del Nord; ma lo splendore del Mezzogiorno cambiò presto i loro occhi e divennero come quei pittori di Germania e di Olanda, i quali a forza di percorrere l'Italia perdevano il gusto delle penombre: essi costruirono per la luce con marmi e mosaici in scarlatto e oro, e il Gotico si piegò al nuovo ideale. Produsse dei capolavori che sono tanto lontani da Notre Dame di Parigiquanto i templi dorici. Palermo sola può provarlo. Quando si traversa la città partendo dal mare, si può scorgere un'antica moschea saracena, dalle cupole ancora tinte di rosso; più lontano, nella parte alta del corso Vittorio Emanuele, la strada è limitata a destra da una lunga balaustra che chiude un giardino,alberi di alloro e melograno distanziati secondo il gusto del Mezzogiorno che non ama gli alberi per se stessi, e se ne serve discretamente per far valere l'opera dell'uomo; poi, un po indietro, per un tratto immenso, esposta tutta intera al sole che la colora di giallo, la Cattedrale, l'Assunta, innalza la sua sagoma frastagliata di castello feudale, con le sue cime merlate, le sue torrette e le sue torri. Ignoro quale possa essere stata l'impressione di occhi diversi dai miei; a me è sembrato di vedere trasportata nella luce bionda una facciata di Westminster. A qualche centinaio di metri da li, in mezzo al Palazzo Reale, si apre la Cappella Palatina, il gioiello di Palermo. Ivi è tutta la poesia del Nord e quella del mezzogiorno che si incontrano e si mescolano. Se l'insieme delle sue linee ricorda le origini gotiche, tutto il resto è di un' arte nuova: la fusione meravigliosa della luce del giorno e dei riflessi, che non lascia in piena ombra nessuna parte dell'edificio, il rivestimento dei muri, i mosaici di vetro di un dolcissimo splendore, il finito delle più piccole parti di scultura, di uno spirale nel basso di una colonna, delle penne di uccello in un fregio, particolari inutili o perduti nelle nostre cattedrali delNord e il cui sorriso leggiero qui non sfugge. »

IL DOPOGUERRA:
Dopo l'ultima guerra mondiale, nella quale la liberazione dell'Italia ebbe inizio dell'armistizio di Cassibile,e dopo la lotta indipendentista del MIS, dal1946, Palermo è sede del Parlamento regionale ed è stata proclamata capitale della Regione a Statuto speciale. La sede dell'Assemblea venne posta a Palazzo dei Normanni.
Ripresasi dalle distruzioni del secondo conflitto mondiale, Palermo è oggi - anche in virtù del ruolo di capitale della Regione autonoma della Sicilia - una città a forte prevalenza di attività terziaria e caratterizzata da una vivace vita culturale.
Oggi il capoluogo siciliano deve la sua rivitalizzazione economica - oltre alle citate attività del settore terziario - ad una buona ripresa del flusso turistico, favorito dal clima particolarmente mite di cui la città gode e dal ricco patrimonio artistico presente sul territorio. Ciò malgrado, la criminalità organizzata continua ad avere un forte impatto sulla città, che continua ad essere afflitta da seri problemi economici e sociali.
Le lotte più significative dell'età contemporanea sono state quelle contro la mafia e il banditismo di Salvatore Giuliano, che ebbe il suo regno nelle zone limitrofe di Montelepre; Palermo ha vissuto il peso del dominio mafioso per decenni, caratterizzati dalla speculazione edilizia, dal cosiddetto “Sacco di Palermo”. Nella lotta alla mafia sono stati colpiti uomini dello Stato, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il presidente della Regione Piersanti Mattarella e soprattutto i coraggiosi magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi nelle stragi di Capaci e Via D'Amelio, fino a Don Puglisi, martire nella sua difesa dei deboli nei quartieri più degradati.
Oggi Palermo, che s'affaccia su uno dei più bei golfi del Mar Mediterraneo fra Monte Pellegrino e il Capo Zafferano, circondata dalla Conca d'Oro, conta 700.000 abitanti ed è una città desiderosa di riscatto e di ritrovare l'antico splendore. Essa è il centro degli affari e dei commerci più importanti non solo dell'isola, ma con l'Africa e gli altri Paesi che s'affacciano sul Mar Mediterraneo, sede di un'Università d'antiche tradizioni, aperta a molti studenti dei paesi islamici con i quali ha mantenuto antichi legami, forte delle sue origini. La sua espansione urbana è stata notevole, favorita nei collegamenti dall'autostrada che la unisce al resto dell'isola, dall'aeroporto di Punta Raisi e dalle linee marittime recentemente incrementate, ma potrebbe tornare ad essere il centro di collegamento fra il Nord Europa e il continente africano se venissero valorizzati da un turismo intelligente i suoi tesori d'arte e di bellezze naturali.

Il Vicerè e la Baronessa:
 verso la fine del XVI secolo divenne viceré ,don Marcantonio Colonna.Quando giunse a Palermo era già anziano;ma si innamorò perdutamente della nobildonna Eufrosina Valdaura moglie del nobile Calcerano Corbera e baronessa del Miserendino.Il marito e il suocero se la presero a morte con il viceré e durante un ricevimento pronunciarono minacce nei suoi confronti.Fu uno sbaglio.Il viceré temendo per la sua vita,non volle correre rischi e prese i suoi provvedimenti.Anzitutto fece arrestare il suocero della baronessa per debiti non pagati,che,detenuto nel carcere della Vicaria,morì in breve tempo.Restava ancora il marito.Un bel giorno fu invitato per una gita di piacere che si fece su di una galera del viceré e fece scalo a Malta.Un bel mattino il Corbera fu trovato ucciso.Dopo un breve periodo di lutto la baronessa celebrò i suoi amori con il viceré,che fece arredare alcune stanze su porta Nuova per i loro incontri amorosi e,per manifestare il suo amore,regalò al popolo una grande fontana nei pressi di piazza Marina,adorna di sirene,putti e creature marine dove spiccava l’immagine di una sirena bellissima che dai seni stillava acqua per gli assettati.In quella sirena tutti riconobbero l’effige della baronessa Eufrosina del Miserendino.

LA LEGGENDA DEL FANTASMA DEL TEATRO:

La suora dei “ventitre anni”
A volte poteva accadere, prima che il caos ci invadesse, di passeggiare nel salotto di Palermo. Per noi palermitani il “salotto” era, o forse lo è ancora, il tratto di strade e stradine comprese tra i teatri Massimo e Politeama. Queste righe vogliono ricordare quando aleggia, guardando il teatro Massimo, la presenza di uno spettro. Occorre ricordare che, per costruire il nostro tempio della musica lirica, il comune di Palermo decise di abbattere la Chiesa ed il Monastero delle Stimmate di S. Francesco, la Chiesa e Monastero delle Vergini Teatine dell'Immacolata Concezione, la Chiesa di Santa Marta e la Chiesa di Sant'Agata di Scorruggi delle Mura che occupavano un'area di circa 25.000 metri quadrati al centro di Palermo che sorgevano nell’area interessata alla realizzazione dell’opera. Siamo alla fine dell’Ottocento e sin qui è storia. Quello che va verso il “diciamo” è che nel corso delle demolizioni fu involontariamente profanata la tomba di una suora che, disturbata nel suo eterno riposo, volle ostacolare l’opera dell’uomo manifestando la sua presenza ammonitrice. Infatti, nel “si dice” ricordiamo che l’ombra di una suora di bassa statura sarebbe apparsa diverse volte sul palcoscenico, tra le quinte e nei sotterranei dove erano udibili rumori misteriosi. Il fantasma sembra che si aggiri irrequieto per il teatro lanciando maledizioni. Infatti, si narra che sia stata colpa del Fantasma se il teatro fu costruito in 23 anni e in altrettanti anni rimase chiuso per restauri. Il teatro sembra tornato alla sua interessantissima attività, ma noi non possiamo far altro che adire ai debiti scongiuri e non pensare a cosa accadrà che durerà ancora ventitre anni.


Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo è il più grande teatro d'Italia e uno dei più grandi teatri lirici d'Europa (il terzo per dimensioni dopo l'Opéra National de Paris e Staatsoper a Vienna) ed è famoso nel mondo per l'acustica perfetta con la sua sala a ferro di cavallo.
Alla sua apertura, per monumentalità e dimensione (oltre 7.700 metri quadrati), suscitò le invidie di molti; come si può facilmente verificare leggendo i giornali italiani dell'epoca (es: "L'illustrazione italiana" del 6 giugno 1897). Perfino Re Umberto, con una gaffe clamorosa, dichiarò: "Palermo aveva forse bisogno di un teatro così grande?".

Di gusto neoclassico sorge sulle aree di risulta della chiesa delle Stimmate e del monastero di San Giuliano che vennero demoliti alla fine dell’Ottocento per fare spazio alla grandiosa costruzione. I lavori furono iniziati nel 1875 dopo vicende travagliate che seguirono il concorso del 1864 vinto dall’architetto Giovan Battista Filippo Basile; il teatro venne completato da Ernesto Basile che, nel 1891 alla morte del padre, gli era subentrato nella costruzione.

Riaperto dopo un lungo periodo d'abbandono, il grande teatro palermitano si propone oggi come una fucina ricchissima di iniziative ed eventi culturali: balletti con artisti di fama internazionale, concerti ed allestimenti di opere liriche, mostre ed incontri con i loro protagonisti della musica contemporanea.


I BEATI PAOLI 

La società segreta dei Beati Paoli, il cui ricordo ancor oggi è mantenuto vivo da una costante tradizione orale, è nata, secondo il marchese di Villabianca, dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro Stati e, molto spesso, si servivano di bravacci per risolvere, alla svelta, quei casi che per ragioni di opportunità o di prudenza consigliavano di non far ufficialmente decidere alle loro Corti.

Palermo dell'epoca dei Beati Paoli
I membri di questa setta Furono giustizieri sicari?
Certamente l’uno e l’altro contemporaneamente. Giustizieri, quando operarono per vendicare delitti impuniti ed impedire soprusi; sicari, quando invece si prestarono ad eseguire vendette personali o allorché si servirono dell’alone di mistero che li circondava e dell’indubbio favore popolare per compiere delitti comuni. Dalle scarse fonti a nostra disposizione non possiamo fornire notizie per documentare attendibilmente il loro operato, in ogni modo possiamo affermare che questa setta sicuramente esistette, e costituì un vero e proprio tribunale di giustizia, protettrice dei deboli e degli oppressi. La setta agiva nell'ombra e nella massima segretezza per proteggere i deboli e gli oppressi utilizzando un vero e proprio tribunale. Solo il Marchese di Villabianca nei suoi " Opuscoli palermitani" cita la setta segreta con il suo tribunale e i luoghi dove agiva. In questi diari hanno attinto diversi autori tra cui il Linares ed il Natoli.


Il Tribunale dei Beati Paoli

In prossimità della Chiesa di S. Maruzza, all'interno del palazzo Baldi - Blandano, con ingresso nel vicolo degli orfani, è stata ritrovata, come indicavano documenti e testimonianza, la grotta dove la setta, degli incappucciati neri, detta dei Beati Paoli, aveva stabilito il proprio tribunale.


La leggendaria grotta dei Beati Paoli, che fa parte di un complesso di cavità di quello che era il letto naturale del fiume Papireto, è ricavata nella sua sponda di sinistra in un grosso blocco di calcarenite. Nei secoli, la grotta fu interessata, ora come luogo di riunione segrete (secondo quanto tramandatoci dalle tradizioni), ora come immondezzaio privato, sfruttando la preesistenza dell’ipogeo, ora come rifugio durante le incursioni aeree della seconda guerra mondiale.
 All'antro, accessibile da nove gradini, si perviene attraverso un piccolo ingresso che dà sul vicolo degli orfani dove sorge una vasca seicentesca con un ninfeo in pietra lavica, alimentata da una vecchia torre d’acqua. Accanto a lei, alla profondità di tre metri e mezzo, c’è un cunicolo che porta ad altre due grotte, che sicuramente custodiscono nuovi misteri.
Durante i lavori di pulitura, sepolte nel terriccio che ricolmava l’ingrottato, sono stati trovati diversi oggetti di differenti epoche, ma la cosa che ha suscitato scalpore è il ritrovamento di un puntale conico di ferro che altro non è che un portafiaccola da parete, per il quale bisogna stabilire il periodo a cui risale. Quest’ultimo ritrovamento richiama certamente a presupposti sull’esistenza dei sectarij….Ma a dir del Villabianca alla fine del settecento di quella terribile organizzazione “se n’era già perduta la semenza”.



LA FESTA DEI MORTI:

Crociate o non crociate cattoliche ci siamo: la festa di  è arrivata e, mascherata per non farsi riconoscere, stanotte busserà nelle case dei Palermitani. La stessa città che vede le strade invase da zucche e cappelli, per le feste dei principali locali della movida, ha aderito alla protesta de le Sentinelle, gruppo di evangelizzazione giovanile, che ha proposto la diffusione di immagini di santi per tutto il corso della notte, con l’apertura a oltranza di una chiesa.
Il divertimento profano, dunque, e la religione per la commemorazione di tutti i santi. Dai gruppi di bambini che giocavano a uno due tre stella nelle lunghe giornate nei cimiteri, fino ai bambini che, mascherati, bussano alle porte al suono di“dolcetto o scherzetto?”. Ma si è davvero tanto lontani da quei bambini che mangiavano grandi bambole di zucchero?
 e  in primis accoglieranno le Fiere dei Morti, ricorrenza irrinunciabile con luci, lumini, colori, dolci e zucchero e saranno pronti a sottolineare quella che dall’1 al disegnerà la notte misteriosa in cui i defunti si divertiranno a nascondere i loro regali nei posti più impensabili, perché se festa deve essere, allora al mistero si aggiungerà anche il gioco.





IL CONVENTO DEI CAPPUCCINI:

La fama del convento, costruito dai Cappuccini venuti a Palermo nel 1533, è rinomata per uno strano cimitero, da sempre definito "Le Catacombe" della città di Palermo.

In realtà il nome è improprio, poiché trattasi di un cimitero sotterraneo, con lunghe gallerie scavate nel tufo, per un’estensione di circa 300 mq, in uso nel XVII secolo, con circa 8.000 cadaveri imbalsamati.

La macabra parata raffigura una società intera che visse dal XVII al XIX secolo. Essa destò la curiosità di diversi visitatori fra cui il celebre poeta veronese Ippolito Pindemonte, che visitò le catacombe nel giorno dei morti nel 1779 e le decantò nei versi dei "Sepolcri ", e il celebre scrittore francese Guj de Maupassant che, avendole visitate nell’anno 1885, si soffermò lungamente sul metodo dell’essiccamento.

L’origine delle catacombe si fa risalire intorno al 1599, quando i frati sfruttando una preesistente cavità naturale al di sotto dell’altare maggiore della chiesa, trasferirono le salme di 40 frati precedentemente sepolti presso il lato meridionale della chiesa.
I frati iniziarono a scavare in quanto la preesistente cavità non riusciva più a contenere le salme che via via arrivavano.
Si dice che i frati abbiano appreso una tecnica di mummificazione segreta attraverso particolari sostanze chimiche. “La leggenda narra che tra questi corpi – scrive Giovetti – ci sarebbe anche quello di 
Cagliostro, inutilmente cercato da Napoleone quando visitò il convento”.
Essi furono posti tutti attorno alle pareti e al centro in una nicchia fu posta l’immagine della Madonna, oggi non più esistente.
Ripresi i lavori di ampliamento nel 1601, fu scavata una seconda stanza a cui si accedeva per mezzo di una scala che si dipartiva dalla sagrestia. Dal 1601 al 1678 si continuò a scavare e furono costruiti il corridoio dei frati e quello degli uomini; i lavori continuarono fino al 1732 raggiungendo l’attuale dimensione: quattro corridoi a quadrato divisi su un impianto di forma rettangolare da un quinto corridoio.
Questa sistemazione si deve al frate architetto Felice La Licata da Palermo nel 1823.
Un luogo singolare: la Cripta dei Cappuccini. La sua fama e’ legata al fatto che dal Seicento fino al 1881 fu scelta come luogo di eterno riposo dai cittadini più in vista di Palermo. Lungo i corridoi riservati a varie categorie di persone - uomini, donne, professionisti ed ecclesiastici - si contano centinaia di corpi scheletriti, mummificati, alcuni imbalsamati altri deposti in urne e bare. La visione può risultare sconcertante e inquietante ma rientra nel contesto della città di Palermo: crudo, bellissimo, ricco di tesori e di umanità un po’ assopita, in cui è palpabile la voglia di riemergere. Proprio come per i cadaveri e gli scheletri della Cripta.




La leggenda del "vascellazzu"


Grazie ai Vespri siciliani Messina e Palermo si liberano dal dominio Angioino chiamando come re della Sicilia, nell’ordine, Pietro III d' Aragona, Giacomo e Federico II d'Aragona.
Prima della pace di Caltabellotta, gli Angioini cercarono di riconquistare le città perdute, soprattutto Messina.
Roberto D'Angiò, per conquistare tale città, mandò il suo esercito a Catona e assediò Reggio Calabria, in modo da bloccare gli aiuti per Messina che al momento era governata da Federico II D'Aragona. La città soffriva una grossa crisi alimentare.
Nicolò Palizzi suggerì di andare da Alberto da Trapani, già considerato Santo per dei grandi prodigi che aveva effettuato.
Il giorno seguente, Federico II e la sua corte si diressero alla Chiesa del Carmine in cui Sant'Alberto celebrava la messa. Egli cominciò a pregare ed alla fine delle sue preghiere una voce dal cielo gli confermò che le sue preghiere erano state esaudite: si videro arrivare tre navi i cui equipaggi scaricarono del grano.
I messinesi si convinsero che le navi fossero state mandate dalla Madonna. L’evento determinò la nascita della tradizione del "vascelluzzo".
Tutti corsero ai piedi del Santo per ringraziarlo, lui li benedì e lì esortò a credere in Dio e nella Madonna della Lettera.
Qualche giorno dopo arrivarono altre quattro navi cariche di vettovaglie.
Roberto d'Angiò capì che non poteva più sconfiggere la città per la fame e si convinse ad arrendersi e stabilì un trattato di pace con Federico II D'Aragona.
La leggenda narra che in quei giorni accadde un altro prodigio: una signora vestita di bianco passeggiava sugli spalti delle mura con lo stendardo di Messina, un francese lanciò una freccia contro di lei ma la freccia ritornò indietro. Anche in questa occasione la Madonna della Lettera difese Messina. Sant'Alberto morì nel 1307.




Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro
Giuseppe Balsamo, secondo alcuni grande alchimista e mago, secondo altri impostore. Palermitano di origini, visse di espedienti durante la Gioventù, divenendo un personaggio di spicco negli ambienti massonici dell’epoca. La sua fama di alchimista e guaritore raggiunse le corti più importanti d’Europa, da Londra a San Pietroburgo, dove gli fu possibile stringere amicizie con personalità di spicco come Schiller e Goethe. Alla corte di Versailles conobbe il potentissimo Cardinale di Rohan che lo coinvolse nel misterioso "affaire du collier", un complotto che diffamò la regina Maria Antonietta e aprì la strada alla Rivoluzione francese. In giro si diceva che Cagliostro possedesse la pietra filosofale e che fosse membro della massoneria. La sua fama non conobbe limiti quando affermò di essere immortale.
Giuseppe Balsamo nacque a Palermo il 2 giugno 1743, dal mercante Pietro Balsamo e da Felicita Bracconieri. A causa delle modeste condizioni economiche, alla morte del padre fu affidato al seminario di S. Rocco a Palermo. Nel 1756 entrò come novizio presso il convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone per essere affiancato al frate speziale, dal quale apprese i primi rudimenti di farmacologia e chimica.

Nel 1768 sposò a Roma Lorenza Feliciani, avvenente e giovanissima fanciulla dell' età di quattordici anni. Fino al momento del matrimonio non si hanno altre notizie documentate: è presumibile che abbia vissuto di espedienti durante la Gioventù. D'altra parte, lo stesso Cagliostro dichiarò pubblicamente di provenire da paesi sconosciuti, di aver trascorso gli anni dell'infanzia alla Mecca e di aver conosciuto gli antichi misteri dei sacerdoti egizi attraverso gli insegnamenti del sapiente Altotas. Sarà monsignor Giuseppe Barberi, fiscale generale del Sant'Uffizio, che nel suo Compendio sulla vita e sulle gesta di Giuseppe Balsamo, redatto nel 1791, smentirà queste dichiarazioni divenendo uno dei suoi più accaniti detrattori. Secondo il Barberi, Cagliostro avrebbe esercitato truffe e mistificazioni anche a Barcellona, Madrid e Lisbona con l'aiuto della maliarda Lorenza, che irretiva uomini facoltosi con arti sottili che andavano dall'avvenenza fisica alla promessa di miracolose guarigioni grazie a polveri e a formule magiche.
Risale al 1771 il primo viaggio a Londra della giovane coppia: sembra che là il Balsamo sia finito in prigione per debiti e, per restituire le somme dovute, fu costretto a lavorare come decoratore. Nel 1772 a Parigi, Lorenza si invaghì dell'avvocato Duplessis e, a causa di questa relazione, fu rinchiusa nel carcere di Santa Pelagia, la prigione delle donne di malaffare. La riconciliazione non tardò ad avvenire e i coniugi, dopo varie peregrinazioni in Belgio e in Germania, rientrarono a Palermo e poi a Napoli. Nello stesso anno, il Balsamo si recò a Marsiglia e si cimentò nelle vesti di taumaturgo: sembra che, dietro lauto compenso, fece credere ad un innamorato di poter riacquistare il vigore fisico mediante l'attuazione di alcuni riti magici. Scoperto l'imbroglio, fu costretto a fuggire e a cercare riparo in Spagna, a Venezia, quindi ad Alicante per terminare la fuga a Cadice. Ritornò a Londra nel 1776, presentandosi come conte Alessandro di Cagliostro, dopo aver fatto uso di nomi altisonanti accompagnati da fantasiosi titoli quali conte d'Harat, marchese Pellegrini, principe di Santa Croce: durante questo soggiorno, insieme alla moglie, divenuta nel frattempo la celestiale Serafina, viene ammesso alla loggia massonica "La Speranza". Da questo momento la vicenda di Cagliostro può essere ricostruita sulla base di documenti ufficiali e non su libelli diffamatori fatti circolare dai nemici più acerrimi. La massoneria gli offrì ottime opportunità per soddisfare ogni ambizione sopita. Grazie alle vie da essa indicate e alle cognizioni acquisite, egli potè riscuotere successi appaganti moralmente ed economicamente che lo portarono, dal 1777 al 1780, ad attraversare l'Europa centro-settentrionale, dall'Aia a Berlino, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia. Il nuovo rito egiziano di cui Cagliostro era Gran Cofto, aveva affascinato nobili ed intellettuali con le sue iniziazioni e pratiche rituali che prevedevano la rigenerazione del corpo e dell'anima. Grande risalto ebbe, inoltre, la figura di Serafina, presidentessa di una loggia che ammetteva anche le donne, con il titolo di regina di Saba. Alla corte di Varsavia, nel maggio del 1780, ricevette un'accoglienza trionfale tributata dal sovrano in persona: la sua fama di alchimista e guaritore aveva raggiunto le vette più alte!
Considerevole diffusione ebbero in quegli anni l'elixir di lunga vita, il vino egiziano e le cosiddette polveri rinfrescanti con i quali Cagliostro compì alcune portentose guarigioni curando, spesso senza alcun compenso, i numerosi ammalati che, nel 1781, gremivano la residenza di Strasburgo. Il comportamento filantropico, la conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemici, la capacità di infondere fiducia e, al tempo stesso, di turbare l'interlocutore, penetrarlo con la profondità dello sguardo, da tutti ritenuto quasi soprannaturale: queste le componenti che contribuirono a rafforzare il fascino personale e l'alone di leggenda e di mistero che accompagnarono Cagliostro fin dalle prime apparizioni. Poliedrico e versatile, conquistò la stima e l'ammirazione del filosofo Lavater e del gran elemosiniere del re di Francia, il cardinale di Rohan, entrambi in quegli anni a Strasburgo. Tuttavia, Cagliostro raggiunse l'apice del successo a Lione, dove giunse dopo una breve sosta a Napoli e dopo aver risieduto più di un anno a Bordeaux con sua moglie. A Lione, infatti, egli consolidò il rito egiziano, istituendo la "madre loggia", la Sagesse triomphante, per la quale ottenne una fiabesca sede e la partecipazione di importanti personalità. Quasi nello stesso momento giunse l'invito al convegno dei Philalèthes, la prestigiosa società che intendeva appurare le antiche origini della massoneria.
A Cagliostro non restava che dedicarsi anima e corpo a questo nuovo incarico, parallelamente alla sua attività taumaturgica ed esoterica, ma il coinvolgimento nell'affaire du collier de la reine lo rese protagonista suo malgrado, insieme a Rohan e alla contessa Jeanne Valois de la Motte, del più celebre ed intricato scandalo dell'epoca, il complotto che diffamò la regina Maria Antonietta e aprì la strada alla rivoluzione francese. Colpevole solo di essere amico di Rohan e di aver consigliato di rivelare la truffa al sovrano, Cagliostro, accusato dalla de la Motte, artefice di ogni inganno, fu arrestato e rinchiuso con sua moglie nella Bastiglia, in attesa del processo. Durante la detenzione, ebbe modo di constatare quanto grande fosse la popolarità raggiunta: furono organizzate manifestazioni di solidarietà e, il giorno della scarcerazione, fu accompagnato a casa dalla folla acclamante. Nonostante il Parlamento di Parigi avesse appurato l'estraneità di Cagliostro e di sua moglie alla vicenda, i monarchi ne decretarono l'esilio: la notizia giunse a pochi giorni dalla liberazione, costringendo il "Gran Cofto" a riparare frettolosamente a Londra. Da qui scrisse al popolo francese, colpendo il sistema giudiziario e preannunciando profeticamente la caduta del trono capetingio e l'avvento di un regime moderato. Il governo francese si difese opponendo gli scritti di un libellista francese Thèveneau de Morande che, stabilita la vera identità di Cagliostro e di Serafina, raccontò sulle gazzette le peripezie e i raggiri dei precedenti soggiorni londinesi, al punto che l'avventuriero decise di chiedere l'ospitalità del banchiere Sarrasin e di Lavater in Svizzera. Rimasta a Londra, Serafina fu persuasa a rilasciare compromettenti dichiarazioni sul marito che la richiamò in Svizzera in tempo per farle ritrattare tutte accuse.
Tra il 1786 e il 1788 la coppia cercò di risollevare le proprie sorti compiendo vari viaggi: Aix in Savoia, Torino, Genova, Rovereto. In queste città Cagliostro continuò a svolgere l'attività di taumaturgo e ad istaurare logge massoniche. Giunto a Trento nel 1788, fu accolto con benevolenza dal vescovo Pietro Virgilio Thun che lo aiutò ad ottenere i visti necessari per rientrare a Roma: pur di assecondare i desideri di Serafina, era disposto a stabilirsi in una città ostile agli esponenti della massoneria, considerati faziosi e reazionari. Cagliostro, poi, preannunziando la presa della Bastiglia, carcere simbolo dell'assolutismo monarchico, e la fine dei sovrani di Francia, destava particolare preoccupazione, alimentata anche dalla sua intraprendenza negli ambienti massonici. Non trovando terreno fertile nei liberi muratori, che oramai guardavano a lui solo come ad un volgare lestofante, Cagliostro tentò di costituire anche a Roma una loggia di rito egiziano, invitando il 16 settembre 1789 a Villa Malta prelati e patrizi romani. Le adesioni furono soltanto due: quella del marchese Vivaldi e quella del frate cappuccino Francesco Giuseppe da San Maurizio, che fu nominato segretario.L'iniziativa, pur non conseguendo l'esito sperato, fu interpretata come una vera e propria sfida dalla Chiesa che, attraverso il Sant'Uffizio, sorvegliò con maggior zelo le mosse dello sprovveduto avventuriero.
Il pretesto per procedere contro Cagliostro fu offerto proprio da Lorenza che, consigliata dai parenti, aveva rivolto al marito accuse molto gravi durante la confessione: era stata indotta a denunciarlo come eretico e massone. Cagliostro sapeva bene di non potersi fidare della moglie, che in più di un'occasione aveva dimostrato scarso attaccamento al tetto coniugale, e per questo sperava di poter rientrare in Francia, essendo caduta la monarchia che lo aveva perseguitato.
A tal fine scrisse un memoriale diretto all'Assemblea nazionale francese, dando la massima disponibilità al nuovo governo. La relazione venne intercettata dal Sant'Uffizio che redasse un dettagliato rapporto sull'attività politica ed antireligiosa del "Gran Cofto": papa Pio VI, il 27 dicembre 1789, decretò l'arresto di Cagliostro, della moglie Lorenza e del frate cappuccino.

Ristretto nelle carceri di Castel Sant'Angelo sotto stretta sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l'inizio del processo. Al consiglio giudicante, presieduto dal Segretario di Stato cardinale Zelada, egli apparve colpevole di eresia , massoneria ed attività sediziose. Il 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta, nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli strumenti massonici.
In seguito alla pubblica rinuncia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la grazia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni dell'inaccessibile fortezza di San Leo, allora considerato carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. Lorenza fu assolta, ma venne rinchiusa, quale misura disciplinare, nel convento di Sant'Apollonia in Trastevere dove terminò i suoi giorni. Del lungo periodo di reclusione, iniziato il 21 aprile 1791 e durato più di quattro anni, rimane testimonianza nell'Archivio di Stato di Pesaro, ove sono tuttora conservati gli atti riguardanti l'esecuzione penale ed il trattamento, improntato a principi umanitari, riservato al detenuto.
In attesa di segregare adeguatamente il prigioniero, egli fu alloggiato nella cella del Tesoro, la più sicura ma anche la più tetra ed umida dell'intera fortezza.
In seguito ad alcune voci sull'organizzazione di una fuga da parte di alcuni sostenitori di Cagliostro, nonostante fossero state prese tutte le misure necessarie per scongiurare qualunque tentativo di evasione, il conte Semproni, responsabile in prima persona del prigioniero, decise il suo trasferimento nella cella del Pozzetto, ritenuta ancor più sicura e forte di quella detta del Tesoro.
Il 26 agosto 1795 il famoso avventuriero, oramai gravemente ammalato, si spense a causa di un colpo apoplettico. La leggenda che aveva accompagnato la sua fascinosa vita si impossessò anche della morte: dai poco attendibili racconti sulla sua presunta scomparsa giunti fino ai giorni nostri, è possibile intravedere il tentativo, peraltro riuscito, di rendere immortale, se non il corpo, almeno le maliarde gesta di questo attraente personaggio. 
Ci sono voci però che raccontano della riuscita fuga di Cagliostro da questa prigione e che si sarebbe vestito da monaco e con in pugno la formula per la vita eterna, vagherebbe ancora in giro per il mondo con altri nomi ed altre vesti.
Innumerevoli biografie hanno cercato di fare chiarezza sul misterioso avventuriero che caratterizzò il secolo dei Lumi: taumaturgo, "amico dell'Umanità", cultore e divulgatore delle scienze esoteriche oppure scaltro imbonitore, comune ciarlatano? Il quesito, finora, non ha avuto risposta certa: il mistero che da sempre avvolge le molteplici attività svolte da Cagliostro contribuisce a tenere vivo l'interesse su di lui.



SANTA ROSALIA:


Per tre secoli Palermo non ha dimenticato di festeggiare la vergine che la liberò dai mali della peste e ancora oggi, in ricordo di quella liberazione, si intonano i canti della tradizione popolare che celebrano, di S. Rosalia, non solo i natali ma anche la sua vita da eremita sulla cima del Monte Pellegrino e la scoperta delle sue ossa, da parte di un cacciatore guidato dallo spirito stesso di lei, cinque secoli dopo la sua morte, nell'anno in cui a Palermo dilagava la terribile pestilenza.

Secondo la leggenda, il morbo scomparve dopo che quelle ossa furono condotte in città. Questo, in breve, raccontano i testi e i canti legati al culto della santuzza, eseguiti dai gruppi di orchestrali che accompagnano i giorni di festa a Palermo con le loro musiche, le giaculatorie lamentose ripetute insistentemente, e i celebri canti da carrettiere di melodie senza tempo.

Uno spettacolo teatrale che ha anche ricondotto il nome di Santa Rosalia alle sue origini, quelle proprie della lingua latina che designa con "Rosalia" la festa delle rose, propria del culto privato, durante la quale le tombe venivano adornate con questi fiori; ed è infatti con corone di rose che viene arricchito il capo della Santuzza nelle rappresentazioni pittoriche e scultoree.

"Dal 1624 - scrive M. A. Di Leo in Feste popolari di Sicilia - ogni anno, dal 9 al 15 luglio, Palermo festeggia la patrona con un festino, mentre il 4 settembre, giorno di nascita della Santa, ha luogo il pellegrinaggio alla grotta del monte Pellegrino dove è stato edificato il Santuario; [il pellegrinaggio raggiunge anche] la cappella della Cattedrale di Palermo in cui è custodita la statua della Santa."
La scultura che riproduce il simulacro della Santa, realizzata in marmo da G. Tedeschi nel 1625, è interamente rivestita di monili in oro, pietre preziose e quanto altro sia segno di devozione dei fedeli.
All'interno di un'urna d'argento, realizzata nel 1631 dagli argentieri F. Ruvolo, G. N. Vivianio e M. Lo Castro, sono conservate le reliquie della Santa.

Il momento della festa di luglio maggiormente condiviso dalla comunità è quello dedicato al giro cittadino del carro trionfale, che viene tradizionalmente costruito molte settimane prima del festino.
Sono tuttora custoditi al Museo Pitrè di Palermo i modelli in legno del carro di S. Rosalia; questi modelli riproducono gli episodi più indicativi della vita della Santa.
L'immagine della patrona, posta in cima al carro, mostra il capo coronato di rose e i piedi circondati di angeli.

Il culto della Santa è, ancora oggi a Palermo, un momento di collaborazione tra artisti, studiosi, religiosi e laici, condiviso durante le manifestazioni e gli spettacoli previsti fino alla prima metà di luglio.
Recentemente la statua della Santuzza è stata affiancata da quella di San Benedetto il Moro; la statua del Moro è, così, tornata al santuario di Monte Pellegrino dopo tre secoli: san Benedetto è il co-patrono di Palermo e il suo simulacro è stato donato alla città dal comune di San Fratello, il paese dei Nebrodi dove nacque il Moro.


LA SUA STORIA:


Secondo la tradizione cattolica, nel 1625 salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona, spodestando santa Cristinasanta Olivasanta Ninfa esant'Agata. Mentre infuriava una terribile epidemia arrivata in città da alcune navi provenienti da Tunisi (antica "Barbaria"), la Santa apparve ad un povero 'saponaro', Vincenzo Bonelli (abitante dell'antico quartiere della "Panneria") che viveva barattando mobili vecchi, il quale avendo perso la propria giovane consorte a causa della peste nera, era salito sul Monte Pellegrino sul far della sera con l'intento di gettarsi giù dal precipizio prospiciente il mare (zona Addaura) per farla finita, causa la sua disperazione per l'immatura scomparsa della giovane moglie. Al momento di mettere in atto il suo triste intento, gli apparve innanzi una splendida figura di giovane donna pellegrina, bella e di grande splendore, che lo dissuase dal suo proposito, portandolo giù con sé al fine, disse, di mostrargli la sua grotta; infatti, lo condusse nei pressi della vecchia Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e dove la si venerava da antica data, nei pressi della famosa grotta che ella gli indica come la sua "cella pellegrina" e scendendo con lui dalla cosiddetta 'valle del porco' verso la città, esortantandolo a pentirsi e convertirsi, lo invita più di venti volte a informare il Card. Doria, Arcivescovo della città di Palermo, che le ossa già in precedenza rinvenute da un cacciatore in quella grotta incastonate nella roccia e che si presumeva potessero essere della Santa eremita -di cui si coltivava in quel luogo la memoria- ma delle quali non era certa l'origine e che erano già state raccolte e venivano custodite nella cappella personale del Cardinale, erano veramente sue; inoltre, che non si facessero più "dispute e dubii" e che, infine, venissero portate in processione per Palermo, poiché lei, Rosalia, aveva già ottenuto la certezza, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio, che al passaggio delle sue ossa, al momento preciso del canto del Te Deum laudamus la peste si sarebbe fermata. Rosalia gli dice inoltre: "E per segno della verità, tu in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità (la peste) e ne morrai", dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai. Tutto questo il povero 'saponaro' Bonelli lo raccontò al padre Don Petru Lo Monaco, che glielo fece riferire subito al Cardinale di Palermo, il quale -constatando che realmente il Bonelli si era improvvisamente ammalato di peste e ne stava di lì a breve morendo- gli diede credito ed eseguì ciò che dallo stesso gli era stato fatto sapere, liberando immediatamente durante la processione delle sante reliquie di Rosalia la città di Palermo dalla peste. (trascizione dall'"Originale dellj testimonij di Santa Rosalia" - Manoscritto 2 Qq - 89 della Biblioteca Comunale di Palermo, a cura di Rosalia Claudia Giordano). Il culto della Santa è tuttavia attestato da documenti (Codice di Costanza d'Altavilla depositato presso la Biblioteca Regionale di Palermo e antica tavola lignea che la rappresenta in veste di monaca basiliana ed oggi custodita presso il Museo Diocesano di Palermo) a partire dal 1196 ed era diffuso già nel XIII secolo (antichissimo altare a lei dedicato nella vecchia cattedrale rogeriana). Essendo che la memoria della Santa palermitana nel 1600 lasciava ancora qualche residuo nelle litànie (si narra infatti che durante una delle processioni che invocavano i vari santi per liberare la città dal contagio, due diaconi pronunciassero il nome di Santa Rosalia contemporaneamente, segno che fece riaffiorare l'interesse in città per il suo culto "sòpito"), la riscoperta del suo corpo glorioso sul Monte Pellegrino incastonato in un involucro di roccia cristallina e la successiva rivelazione al Card. Doria del racconto del povero Bonelli, con la conseguente liberazione della città dall'epidemia, ne sancì il definitivo e popolare patrocinio, ratificato a Roma sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini.
Il culto è particolarmente vivo a Palermo, dove ogni anno, il 14 e il 15 luglio, si ripete il tradizionale "Festino" che culmina nello spettacolo pirotecnico del 14 notte e dalla processione in suo onore del 15. Il 4 settembre invece la tradizionale acchianata ("salita" in lingua siciliana) a Monte Pellegrino conduce i devoti al Santuario in circa un'ora di scalata a piedi.
Nella provincia di Palermo il culto è presente a Campofelice di Roccella, in quanto importato dal principe palermitano fondatore dell'abitato attuale nel 1699, mentre in altri centri delle Madonie se ne trovano invece solo scarse tracce. A Bisacquino, feudo dell'arcivescovo di Monreale il culto deriva da una reliquia della santa donata nel 1626 dall'arcivescovo di Palermo.
In Sicilia il culto è attestato inoltre a Bivona e a Santo Stefano Quisquina, dove secondo la tradizione la santa visse per qualche tempo in eremitaggio e dove fu probabilmente introdotto dai Chiaramonte, signori feudali delle due località nella seconda metà del XIV secolo. A Bivona le prime notizie documentate della chiesa e della confraternita di Santa Rosalia risalgono al 1494. La santa era particolarmente invocata, insieme a San Rocco contro la peste: durante le epidemie del 1575 e del 1624 i bambini battezzati con i nomi dei due santi furono la quasi totalità dei nati, come risulta documentato nei registri di battesimo.
Santa Rosalia è patrona anche di Santa Margherita Belice. Alessandro I Filangeri, signore di Santa Margherita, fece costruire la chiesa madre nella seconda metà del XVII secolo, dedicandola alla vergine Rosalia. Negli ultimi anni viene portato in processione, il 4 settembre, un busto della santa in argento con reliquiario, appartenente alla chiesa madre.

IL CULTO:

La leggenda del ritrovamento miracoloso delle spoglie di Rosalia è una tipica storia edificante; al passaggio delle reliquie una pestilenza cessa miracolosamente, al che i palermitani per riconoscenza scelgono a Santuzza come seconda protettrice della città (dopo santa Cristina), dedicandole u fistinu (il festino) che si celebra dall'11 al 15 luglio con un carro trionfale, introdotto nel 1686, e un corteo storico in costumi seicenteschi. I festeggiamenti sono aperti alla mattina presto da un'alborata. Il pittore Jean Houel nel 1776 nel descriverlo così lo definisce: «È un'arca di trionfo mobile che porta una grandissima quantità di musici e la cui base è come una conca, portata su quattro ruote. Nel mezzo il simulacro della giovane con splendido abito, sospesa su di una nuvola e circondata di raggi di gloria».
Nel 1896 Pitrè descrive la figura della santa coronata di rose su un carro a vascello «a candelora verticale» e ci ha lasciato nel suo volume Feste patronali questa bellissima descrizione dell'urna con le reliquie e i particolari della suggestiva processione:
« Già fin dal secolo scorso i viaggiatori più illustri ebbero a notare che in tre, quattro, cinque giorni di spettacoli in occasione delle onoranze a santa Rosalia, solo uno ve n'era religioso, l'ultimo. Ma il fatto non è unico né raro nella storia delle feste patronali dei paesi cattolici: e in quelle della patrona di Palermo v'è pure qualche cosa che la ricorda anche negli spettacoli che sono o paiono mondani, come oggi si dice, o pagani, come si diceva fino a ieri. Il carro stesso che cosa è se non l'apoteosi della Santa, la cui figura dal braccio disteso e della mano aperta in atteggiamento solenne di benevolenza accenna a difesa, a sostegno, a protezione della città? Tutto il giorno è un viavai di devoti al Duomo a rendere omaggi alla santa. Nelle ore meridiane però le Compagnie della Pace, della Carità, dei Bianchi e di Sant'Elena e Costantino (già di San Tommaso), una volta ciascuna per sé, ora tutte insieme, vanno pubblicamente ad offrire la cera di uso e gli ossequi delle loro confraternite; mentre nella cappella della santa si celebra per loro e dal loro cappellano la messa.
"La processione delle reliquie di S. Rosalia è l'ultima delle feste," e vi prendon parte le confraternite, il Capitolo, l'Arcivescovato, la Giunta Comunale quando non se l'abbia a disdoro, ed una volta anche le corporazioni religiose tutte. E dico tutte, perché era questo un dovere al quale nessuna poteva sottrarsi trattandosi della Patrona della città; mentre, secondo le consuetudini locali o generali, alle frequenti processioni d'un santo o d'una santa d'un ordine religioso o d'un altro, solo alcune comunità intervenivano o si facevan rappresentare da pochi frati. In mezzo a queste diverse comunità di tanto in tanto si conducevano ceri ed obelischi raffiguranti i più notevoli avvenimenti della vita di S. Rosalia, o fatti biblici allusivi alle virtù di Lei. E poiché si festeggia la Patrona, non devono mancare le bare con le immagini degli altri santi, "le eccelse superbe moli e macchine piramidali, che formano la meraviglia degli stranieri, le quali precedono l'urna della Santa o Santuzza, come antonomasticamente la si appella. Questa processione delle bare o barelle è uno spettacolo che chiama molto popolino" »


ISNELLO:

Isnello (Isineddu in siciliano[2]) è un comune italiano di 1.638 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia
Il territorio di Isnello ha una superficie di 50,18 km², e si estende da 420 m s.l.m. a 1600 m. Confina con i comuni di: Cefalù, Gratteri, Collesano, Scillato, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Castelbuono. il Comune fa parte del Parco delle Madonie. Il corso d'acqua, denominato Isnello, che discende dalle Madonie, lambisce il paese a nord, per incunearsi in un suggestivo stretto canyon formato tra l'altura del castello e la ripida parete della Montagna Grotta Grande.
Molto si è discusso nel tempo sull’etimologia del nome del paese e, pur non essendo giunti ad un definitivo pronunciamento in merito, è certo però che il nome derivi dalle caratteristiche del corso d’acqua che ne attraversa tutto il territorio. Ipotetiche voci da cui ha avuto origine sono il termine siriaco hassin che significa fiume freddo, il punico hassinor che indica un torrente che scorre in un alveo a forma di tubo, il greco asinesche indica l’innocuità del torrente. Non si ha molto sulla storia e l’evoluzione dell'insediamento in epoca romana e nei primi secoli dell’era cristiana. Le fonti riferiscono sporadiche notizie durante il periodo della dominazione araba che, come in tutta l’isola, ha lasciato segni indelebili anche nella toponomastica. In questo periodo Isnello è chiamato Menzil Al-Hamàr, che significa villaggio fortificato.


NEL MEDIOEVO:

Sconfitti gli Arabi dal conte Ruggero, Isnello venne aggregato alla diocesi di Messina rimanendo però sotto diretto dominio di Ruggero stesso.Ruggero II, primo Re di Sicilia, avendo fondato nel 1131 la Basilica Cattedrale di Cefalù, con l'assenso dell'Arcivescovo di Messina, incluse Isnello nella nuova diocesi, mantenendone diretta giurisdizione. Il dominio su Isnello e sulla vicina Gratteri fu concesso, in seguito, solo temporaneamente, dall’Imperatore Federico II all'Arcivescovo di Palermo il quale, morto Federico, chiese al successore, il figlio Manfredi, di concedere perpetuamente il governo delle due baronie alla Chiesa Palermitana; Manfredi acconsentì. Non è nota però la ragione per cui la Chiesa di Palermo abbia perduto la giurisdizione sui due centri.
Nel 1296 divenne barone di Isnello il milite Niccolò Abbate. Questi nel settembre 1377 vendette la baronia di Isnello a Francesco II Ventimiglia e Consolo, conte di Geraci. Il suo successore Antonio Ventimiglia, per il delitto di tradimento, perdette i diritti sulle terre che caddero nelle mani del Regio fisco. Il 1º febbraio 1397, re Martino concesse la baronia di Isnello ad Abbo Filangeri, Alcaide di Cefalù che però la cedette per la Contea di San Marco.
Il 27 novembre 1398, la baronia Isnellese passò ad Arnaldo Santacolomba, nobile catalano; a lui successe il figlio illegittimo Arnaldo Guglielmo e poi in successione: Antonio (1454), Arnaldo II (1478), Antonio II (1506). Ad Antonio II successe il figlio Simone che nel 1547 vendette alla casa La Farina i feudi di Madonia, Chiusa, Culìa, Piano Zucchi, in favore della moglie Eleonora Agnello di Francavilla (divenuta poi Signora di Isnello nel 1576). Pietro Santa Colomba, per la cessione della madre, nel 1586 ereditò la baronia. Alla sua morte gli succedette il figlio Arnaldo III che, nel 1625, chiese al Re di Sicilia Filippo IV di innalzare la baronia di Isnello a contea. Il privilegio venne concesso il 15 febbraio 1625 a Madrid. Nel 1634 s'investì della carica signorile Pietro Santa Colomba, figlio di Arnaldo III, che in parte riuscì ad integrare ai territori della contea i feudi della vecchia baronia venduti da Simone Santa Colomba. Durante la signoria di Ignazio, succeduto al padre Pietro nel 1666, accadde uno di quegli eventi più disastrosi della storiografia siciliana: il terremoto che ha avuto luogo l’11 gennaio 1693. Tutta la Sicilia subì distruzioni e morti, ma la cittadina di Isnello non fu soggetta che alla caduta di vecchi edifici. Erede di Ignazio fu il figlio Pietro II che nel 1700 morì senza successori; a lui seguì quindi il cugino Gaspare che, morendo anch'egli senza discendenti, fu l'ultimo conte di Isnello della casa Santa Colomba. Seguirono aspre contese alla fine delle quali la contea di Isnello fu affidata a Donna Giuseppa di Valguarnera, erede dei Santa Colomba di linea femminile. Alla sua morte si susseguirono nel governo della contea suo figlio Antonio Termini (1761), Domenico Termini, Castrense Termini e Migliaccio, principe di Baucina, Antonio suo figlio e Domenico suo fratello.


XVIII SECOLO:

Con atto del 14 aprile 1788 presso il notaio Sebastiano Rustici, i cittadini Isnellesi, stanchi di sopportare il dominio esercitato dai conti in base al beneficio del “Merum et Mixtum imperium”, ossia la facoltà di emanare leggi, concesso nel 1453 ad Arnaldo Guglielmo Santa Colomba, ricomprarono i territori della contea. Sciogliendosi definitivamente dal vincolo dell'autorità baronale.
Scudo su fondo rosso sormontato da corona a tre torri e diviso in quattro fasce; la prima, dall'alto, raffigurante un'aquila con corona a cinque punte, successiva fascia azzurra con due stelle dorate a sei punte, fascia dorata e fascia azzurra con una stella dorata a sei punte
Descrizione araldica: Scudo a campo diviso: nel 1° d'oro con in capo l'aquila volante d'argento coronata del medesimo; nel 2° d'azzurro con una fascia di oro, accompagnata da tré stelle a sei punte del medesimo, poste due al capo, e una in punta. Corona muraria di città d'oro.
Il secondo campo riporta l'arma della nobile famiglia Termini, che ereditò la contea di Isnello da donna Giuseppa Valguarnera, ultima discendente diretta dei Santacolomba.

LA CHIESA MADRE DI SAN NICOLò:

La Chiesa Madre dedicata al patrono san Nicola di Bari vescovo di Mira, di antica fondazione, appare agli occhi del visitatore nell’assetto datole tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. L’abside è decorato con stucchi datati 1607, opera di Giuseppe Li Volsi da Nicosia. Pregevole l’organo meccanico il cui mobile data 1625, per la committenza di Giuseppe Coccia, locale mecenate cui si deve anche la committenza della decorazione della cappella dell’Addolorata, cappella patronale della sua famiglia, della cappella del SS. Sacramento, la macchina lignea dell’Altare Maggiore della Chiesa di San Michele Arcangelo e diverse opere nel Santuario di Gibilmanna. Interessanti inoltre il cinquecentesco Tabernacolo marmoreo vicino a Domenico Gagini, il Coro ligneo del 1601 opera di Giuseppe Di Maggio e Giacomo Mangio e la statua del Patrono San Nicolò, datata 1490.

SAGRE :

  • Sagra della Frittedda (29 o 30 aprile): distribuzione del piatto tipico composto da primizie primaverili: fave, piselli, carciofi...
  • Sagra delle fave di S. Pietro (29 giugno): distribuzione di fave, patate e cipolle bollite.


LA FESTA DI SAN NICOLA DI BARI :

il santo patrono di isnello è San  nicola di bari, la cui festa liturgica ricorre il 6 dicembre, mentre i festeggiamenti in onore del santo sono il 5,6 e 7 settembre . l'inizio del patronato di san nicola a isello è databile intorno al 1620

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